Libri per vivere, librerie per non morire

mercoledì 15 aprile 2020


L’Italia è un Paese di scrittori, anche se sarebbe meglio dire di scriventi, nel quale pochi, molto pochi, leggono libri e spesso a non leggerli sono gli stessi che si ostinano a scriverli.

Un popolo di grafomani compulsivi, di editori fai-da-te con una distribuzione e una tiratura che raramente riesce a coprire il proprio condominio, i libri pubblicati, da noi finiscono rapidamente sulle bancarelle, nei circuiti a metà prezzo e infine al macero, ma con una grande soddisfazione dell’onanismo personale dello scrittore, spesso “a proprie spese”, come li chiamava Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault.

Allora, benché io appartenga alla categoria in via d’estinzione dei lettori forti, benché sia un bibliofilo inveterato e mi pianga il cuore vedere le librerie chiuse, ritengo – e lo sanno molto bene tutti i miei amici librai ed editori che adesso stanno attraversando una “notte oscura dell’anima” – che la riapertura delle librerie, fatta in questo modo prospettato da questo geniale governo, sia pura demagogia e banale retorica. Vogliono a Palazzo Chigi, in questo modo, farci credere di nutrire interesse verso la cultura e quindi agiscono di conseguenza nella maniera più inutile e inefficace ad aiutare realmente l’editoria.

I “creativi”, e dunque gli artisti, i musicisti, gli scrittori, gli attori sono la parte più fragile – anche se quella più necessaria per lo spirito e dunque per la vita – della nostra società; così il libro che è l’unico prodotto industriale dotato di un’anima, è in effetti indispensabile se non si vuole retrocedere al rango dei bruti; ma davvero aprire le librerie in questo modo sarà d’aiuto sia ai librai, sia gli editori e anche – in ultimo – a noi scrittori?

Chi entrerà, uno ad uno in piccole librerie, a scaglioni magari nelle più vaste per metratura dei grandi circuiti, ma in quelle nascoste nei vicoli delle nostre città, chi entrerà? Non c’è lo spazio necessario richiesto dalla distanza legale. Si entra come in un supermercato forse, quindi chi ha ideato questa deroga evidentemente non frequenta – ammesso e non concesso lo faccia – altre librerie se non quelle estese, appartenenti ai più potenti gruppi editoriali. Siete mai stati in quella che considero la più bella libreria di Roma, che ha nome Aseq? Piccola, raccolta nelle sue antiche scaffalature di legno dorato, onuste di volumi in larga copia. Sta all’ombra della ritorta cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. Come potrebbe entrarvi una persona alla volta, mentre gli altri attendono all’esterno? E il rapporto di empatia, d’amicizia, di sodalità con il libraio? Una libreria è un luogo dell’anima, uno spazio per la parola, un tempio del cuore, non è uno store dove si entra e ci si serve dai banconi per uscire da una cassa.

Quindi questa necessità di libri, in una nazione come la nostra che ha una media di lettori bassissima, la trovo semplicemente ridicola, e ho sentito alcuni librai che per primi la pensano come il sottoscritto. Comunque, in attesa di tempi migliori e che tutto, augurandoci al più presto, soprattutto per noi “invisibili”, superflui che ci occupiamo di cose futili e inutili quali l’arte, la poesia, la letteratura, la musica… insomma di tutte quelle cose che differenziano l’uomo dalla bestia e rendono migliore la vita, ritorni come prima – ovvero in un mondo affetto dalla più infima mediocrità – vogliamo aprire alla speranza che le librerie dischiuse siano l’avanguardia di una nazione resasi finalmente conto che la propria ricchezza non è soltanto l’industria, ma un universo mondo nascosto, fatto da persone che trasformano, ogni giorno, dolorosamente o con amore, i propri sogni in realtà, e che – sebbene sia necessario mangiare – non di solo pane viva l’uomo.


di Dalmazio Frau