Un Carpaccio per Vittore

mercoledì 8 gennaio 2020


Mentre stanno per partire in grande spolvero le celebrazioni, in tutta la penisola e non soltanto, per i cinquecento anni della morte di Raffaello Sanzio, e che purtroppo ci costringeranno a sopportare oltre al solito coacervo di banalità sull’argomento, anche un congruo numero di deliri autoreferenziali in una gara di esperti a chi lo sosterrà più “strano”, a Venezia si sono ricordati – tra un’acqua alta e l’altra – di esaltare invece uno dei più grandi pittori del Rinascimento: Vittore Carpaccio.

L’artista non era infatti stato più oggetto di una sua mostra monografica dal lontano 1963 e da allora molte, interessanti e affascinanti sono state le ricerche e gli studi compiuti sulla sua vita e sulle sue opere così avvolte nel sognante mistero dei simboli e delle fantasmagorie del tempo. Da una collaborazione straordinaria tra Palazzo Ducale e la National Gallery di Washington, dal 10 ottobre prossimo al 24 gennaio 2021, la città dogale vedrà quindi esposti, grazie anche a prestiti da musei europei e statunitensi oltre che da prestigiose collezioni private, dipinti e disegni dell’artista che cercheranno di offrire al visitatore il percorso della vita e delle opere di Carpaccio, dalla sua giovinezza sino agli anni più maturi, immerso in un mondo di rara bellezza qual è quello della Serenissima a cavallo tra il XV ed il XVI secolo, in un fulcro unico e irripetibile tra Oriente ed Occidente.

Poesia e immaginazione fantastica, dettaglio minuzioso della vita del suo tempo e miti, leggende e sogni sono nelle opere di Vittore che non “pingeva”, ovvero dipingeva, ma “fingeva” dunque immaginava in un gioco teatrale, eventi meravigliosi accaduti in terre mitiche e lontane, tra draghi, santi e altre meraviglie. All’esposizione incantata di Palazzo Ducale si affiancherà inoltre un magico itinerario attraverso le calli cittadine che condurrà il viaggiatore in un cammino sognante alla scoperta dei cicli decorativi sorti dal pennello di Carpaccio e della sua bottega; infine le sue opere, quelle volute dalle confraternite religiose della Venezia del Quattrocento, saranno per la prima volta traslate oltre oceano e offerte alla vista del pubblico statunitense che, così, potrà ammirare e godere di quell’infinito patrimonio di grandiosa bellezza che è stata l’arte italiana in un’età dove il nostro Paese era il cuore pulsante del mondo.

Vittore Carpaccio dunque, con il Perugino, con Andrea Mantegna e Luca Signorelli è uno dei più splendenti astri della Rinascenza, con Leonardo da Vinci anch’egli gentiluomo veneziano, prima che giunga il cortigiano urbinate e gettare nuove luci sull’arte, disperdendo ogni senso del meraviglioso e del fantastico. Dragoni ruggenti, basilischi, splendide dame e cavalieri dalle armature brunite come gemme di giaietto montate in oro, sono gli attori delle fiabe dipinte da Carpaccio sui suoi grandi teleri veneziani.

Prima che tutte queste meraviglie senza pari tra un anno svaniscano nuovamente nelle nebbie della laguna, sono certo che ai più il nome di Carpaccio ricorderà l’omonimo piatto di manzo crudo ideato da Giuseppe Cipriani nel 1950, allora chef dell’Harry's Bar di Venezia, che lo intitolò cosi perché il colore di quelle carni gli ricordava il rosso intenso dei dipinti del grande artista veneziano. Il che, a ben pensarci, non è cosa da poco.


di Dalmazio Frau