Johan Huizinga e l’imbarbarimento della civiltà

lunedì 23 dicembre 2019


Ne La crisi della civiltà Johan Huizinga (Torino, 1962) - l'autore, tra le molte altre opere, di due capolavori della storiografia di ogni tempo come L'autunno del medioevo e di Homo Ludens - manifesta considerazioni analoghe a quelle evidenziate da Josè Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse : entrambi, lo storico e il filosofo, registrano un imbarbarimento della cultura, lo spirito e la società nell'età contemporanea che sono strettamente collegabili con il ruolo sempre più decisivo assunto in esse dalle masse.

La critica avanzata da Huizinga può essere riassunta dalle seguenti osservazioni e dal successivo quesito: “la prospettiva di un mondo civile abbandonato un suo proprio dinamismo, un sempre crescente dominio delle forze naturali, una sempre più completa e immediata pubblicità di quanto segue , ha in sé molto più dell'incubo che della promessa di una civiltà purificata, ripristinata, innalzata. Desta visioni di insopportabile sovraccarico e di schiavitù spirituale . La prospettiva di una civiltà che continua a svolgersi ci ispira da gran tempo l'ansiosa domanda: lo svolgimento culturale di cui assistiamo non è piuttosto un processo d'imbarbarimento?

Per imbarbarimento - spiega Huizinga di seguito - si può intendere un processo culturale, in virtù del quale una situazione spirituale d'alto valore viene trasmessa a poco a poco soffocata e ricacciata indietro da elementi di più basso livello. Può essere incerto se gli elementi dell'elemento basso e di quello alto debbano necessariamente fronteggiarsi sotto il controllo di massa e di élite . A ogni modo, ove si voglia affermare questa popolarità, bisognerà assolutamente svuotare i temi di massa e di elite di qualsiasi contenuto sociale, e considerare solo in quanto espressioni di atteggiamenti spirituali. Così intese la cosa anche Ortega e Gasset nella sua Rébelion de las masas ”.

Huizinga individua perfino nei moderni strumenti di comunicazione di massa - come allora, verso la metà degli anni trenta, erano la radio e il cinema - un aspetto insidioso per la civiltà contemporanea , perché a suo avviso essi rischiano di “disabituare la gioventù dal pensiero, di mantenerla infantile, e probabilmente, per giunta, di annoiarla rapidamente ea fondo ”. La lettura è al loro cospetto “una funzione culturale più fine. Leggendo lo spirito afferra molto più in fretta, chiaramente continuamente, si tende, salta, sosta, riflette: mille motivi del pensiero in un istante, che sono negati al radioascoltatore ”. L' habitat socio-culturale in cui la civiltà futura dovrebbe svilupparsi ne risulta minacciato, tanto che sarà arduo evitarne l'imbarbarimento.Le forze organizzatrici della società , come partiti, chiese e associazioni, non sono infatti in grado di impedire un mutamento che può essere epocale, o almeno non lo saranno se non cercheranno prima di tutto di un mutamento di tipo spirituale.

Per Huizinga “non possiamo aspettarci il saluto dall'intervento di una forza organizzatrice. Le basi della civiltà sono di tutt'altra specie; né gli organi collettivi come tali - popoli, stati, chiese, scuole, partiti, associazioni - possono porle o mantenerle. È necessaria una purificazione interiore che prenda tutto l'individuo. Deve mutare l' habitat spirituale dell'uomo. Il mondo attualeè andato molto oltre sulla via della piena negazione d'amore norma morale assoluta. A mala pena distingue, convinto, il bene dal male. Esso è portato a ritenere tutte le crisi, che l'odierna civiltà attraversa, una mera lotta tra opposte tendenze, una lotta tra avversari per il potere. Eppure la possibilità di sperare è tutta nel riconoscimento che in questa lotta le azioni si ordinano secondo un principio di bene assoluto e di assoluto maschile. Da questo riconoscimento consegue che la salvezza non può essere contenuta nella vittoria di uno stato, di un popolo, di una razza, di unaclasse. Il senso umano della responsabilità viene assegnato dal suo più basso livello quando si sottopone al criterio dell'approvazione o della condanna a una pertinenza fondata sull'egoismo ”.

Certo, il termine “egoismo” è una interpretazione diversificata, ma quella che sembra qui evocata da Huizinga suggerisce l'idea che nella società contemporanea l'uomo è portato a relativizzare ogni valore o principio per conformarsi alla massa, e proprio proprio in quanto da un punto di vista “egoistico” quest'atteggiamento è più comodo, rassicurante e conveniente di quanto non è quello di avere convinzioni “controcorrente”, o comunque meno gratificanti dal punto di vista sociale.

Questa maggiore gratificazione sociale, il poter essere rassicurati rispetto alle proprie ragioni, al proprio diritto di manifestare e difendere pubblicamente, il ritenere proprio semplicemente ciò che è condiviso su più larga scala è infatti una delle forme di egoismo più subdole e mascherate, una di quelle da cui è più difficile difendere e prendere le distanze, una delle meno riconoscibili e più facilmente scambiabili per l'opposto dell'egoismo, ovvero per quell'attitudine morale che è normalmente definita “altruismo”.

L'egoismo di cui fa riferimento Huizinga è appunto notificato mai e poco preso in considerazione, quello su cui anche Nietzsche e Ortega sono soffermati: è l'egoismo celato nel conformismo sociale e culturale, è quello che tende a provare gli atteggiamenti illiberali e gli intolleranti di una maggiore probabilità in nome della libertà e della tolleranza, o quelli che hanno delle conseguenze in nome di una maggiore giustizia: è quello che, per usare le categorie weberiane, tende a trincerarsi dietro un'astratta etica della convinzione per evitare di confrontarsi con una più concreta e onesta etica della responsabilità.

Si tratta cioè di un sintomo, sordo e silenzio nella fase all'interno, di un imbarbarimento che - soprattutto in un'età in cui, come quella odierna, i mezzi di comunicazione sono ben più potenti, influenti e pervasivi della “radio” o del "cinema"cui si riferisce riferimento Huizinga - preoccupa nel suo complesso esponenzialmente di più di quanto può interessare le sue singole e variegate manifestazioni. Si tratta dell'egoismo che si cela a se stesso identificandosi con la massa, che induce a non assumere le proprie responsabilità individuali, che si camuffa d'altruismo celandosi in movimenti collettivi e che è irresistibilmente attratto dai luoghi in cui, per eccessivo affollamento, non si trova posto. Esso appare ormai venuto come un vero e proprio mutamento antropologico ricco di premonizioni sinistre, al quale ci si può opporre solo tornando a curare “l'habitat culturale” dell'uomo, la cui incuria totale sta invece rapidamente collaborando anche alla distruzione di quell'altro habitat, questa volta fisica e naturale, di cui per lo più si parla.


di Gustavo Micheletti