Nessuna umana pietà

lunedì 23 dicembre 2019


Sul finire del Quattrocento, la Bella Giulia, Giulia Farnese, cortigiana e amante di Papa Alessandro VI, offrì i suoi lineamenti all’effige della Madonna per il Pinturicchio. Per secoli, cortigiane e prostitute hanno posato come modelle per i più grandi pittori. Erano le sole donne che avessero il diritto di varcare la soglia delle botteghe d’arte.

Poco più di quattro secoli or sono, Michelangelo Merisi da Caravaggio diede alla Vergine Maria appena defunta, le sembianze di una giovane prostituta ripescata dalle acque del Tevere. Lo scandalo che suscitò questo fatto, non soltanto tra la Curia romana ma anche tra il popolo, fu immenso, eppure era quella un’opera di uno dei più grandi artisti di sempre. Non vi era volontà blasfema in quel dipinto, ma immensa pietà.

Pietà. Quella che non esiste in quell’inaccettabile immagine che qualche giorno fa, esposta all’esterno del Museo Macro di Roma, dal titolo Ecce Homo. Erectus, mostra a chiunque passi, un Gesù Cristo con una manifesta erezione esibita davanti al volto di un bambino. Questa non è neanche più “provocazione”, non vi è alcuna “idea”, nessun “concetto”, potremmo dire che è ormai soltanto una cronicizzata quanto inutile e monotonamente stantia mancanza di gusto e di buon gusto, un insulto all’estetica, al bello e non soltanto alla religione, ma è più semplice e forse più attinente al vero che questa sia soltanto l’opera, men che mediocre, di un incapace con velleità artistoidi che, come solo talento al mondo, offre l’unico tentativo di esistere che ha.

Insomma, chi ha concepito la brutta immagine, in realtà non ha fatto altro che evidenziare il proprio status di artista che ha fallito nel campo, passando così dall’essere sino ad ora ignorato, all’oblio e alla dimenticanza dovuti a chi non merita di lasciar traccia di sé nel mondo dell’arte. Non lo nominerò neanche infatti, proprio per non favorirgli alcuna forma di pubblicità. Lo street artist che ha ideato questo deve semplicemente essere dimenticato. Il peggiore degli inferni per qualsiasi artista, soprattutto se presunto tale, è l’essere per sempre ignorato.

Roma non è nuova ad assistere a simili performance, ricordiamo che già nel luglio del 2017, su alcune pensiline degli autobus cittadini erano apparsi questi tristi manifesti e altri analoghi. Quindi neanche il segno della “novità”, solo la noiosa e compulsiva iterazione di un qualcuno che non ha altri modi di attrarre l’attenzione su di sé.

Consoliamoci con il nuovo allestimento delle sale di Palazzo Barberini, sempre nella Capitale, che riguarda proprio l’ala nord, dove sono custodite ed esposte alcune tra le più belle tele di Caravaggio: la Giuditta e Oloferne, il San Francesco e il Narciso, tutti “a dialogo” (così come è di moda dire adesso) con altri grandi, meravigliosi dipinti di altrettanto straordinari artisti coevi del Merisi. E in ognuna di queste sale, in un percorso che porta il nostro sguardo e i nostri occhi all’unisono con le anime, di noi che guardiamo e di coloro che – immortali – hanno dipinto tali meraviglie, ci ridona intatto il senso violato della bellezza più sublime, quello che non sarà mai raggiunto da nessun artistoide in cerca di facile notorietà, privo com’è non solo di capacità pittorica ma soprattutto d’anima.


di Dalmazio Frau