“Misery”, angoscia e pazzia alla Sala Umberto

giovedì 21 novembre 2019


Annie Wilkes è un’infermiera che conduce un’esistenza solitaria, in una squallida casetta isolata fuori città. È pazza. La gente lo sa e non si avvicina. Tutta la sua vita e i suoi interessi si proiettano in storie immaginarie, cinematografiche e, soprattutto, letterarie. Arte semplice – è cresciuta con le avventure di Rocket Man – senza pretese. Però onesta. Annie vuole, pretende l’onestà della narrazione.

Paul Sheldon l’onestà intellettuale l’ha abbandonata da tempo. Da quando è diventato ricco e famoso grazie a una saga di romanzetti ambientati in un passato romantico e gotico, con protagonista Misery, eroina sofferente e pura. Storie che l’autore stesso disprezza, perché di scarso pregio letterario, ma con cui è venuto a patti, in nome della Fama, a causa della quale ha perso anche la famiglia.

È quando lo scrittore decide di recuperare il proprio talento, creando un romanzo vero, fondato sul presente e sulla realtà delle persone, che finisce in un burrone con la propria auto durante una tempesta di neve, si frattura gambe e braccia e viene salvato da Annie, che lo pedinava da tempo. La donna lo accoglie in casa, lo medica, lo cura. Perché Annie è la sua “ammiratrice numero uno” e vive nell’adorazione dei suoi romanzi su Misery. Anzi, per lei Paul è una sorta di Dio di secondo rango: Dio dà la vita agli uomini, lo scrittore ai personaggi.

Per questo l’infermiera non può perdonare, quando scopre che nell’ultimo romanzo, appena uscito, lo scrittore “uccide” la sua creatura. Così precipita tutto: Annie diventerà la carceriera di Paul, la sua aguzzina, la sua carnefice. Deve tenerlo prigioniero, per costringerlo a scrivere di nuovo, per far rivivere Misery. E la narrazione non può regredire, ritorcersi su sé stessa, ma deve essere onesta. Ed è l’onestà imposta dalla sua folle coinquilina, alle cui pretese egli deve sottostare, perché non c’è alcuna possibilità di salvezza, che consente all’artista di ritrovare una nuova dignità nel suo lavoro.

È una celebrazione del potere creativo della narrazione, che dà la vita, che è vita, la rappresentazione tratta dal celebre romanzo di Stephen King, sceneggiato per il film cult da William Goldman, portata in scena da Filippo Dini e Arianna Scommegna, con la regia del primo, al Teatro Sala Umberto fino al 1 dicembre, per la tappa romana di un tour che toccherà diverse città italiane.

Durante il primo atto l’angoscia, la claustrofobia e l’impotenza della terribile condizione in cui è costretto Paul si stemperano in un clima quasi di commedia, grazie all’ironia del testo e della recitazione. Il dramma deflagra nella seconda parte, quando l’esistenza di Annie è strappata alla dimensione immaginaria e diventa reale, perché lei scopre di amare Paul più che la sua eroina letteraria. E di fronte alla realtà, a quella realtà, la vita non ha più possibilità di essere vissuta e la morte ha più dignità.

(*) Foto di Alice Pavesi


di Maria Chiara Aniballi