lunedì 11 novembre 2019
Remo Bodei è stato senz’altro uno dei filosofi italiani più eminenti di questi ultimi decenni, oltre che uno dei pochi italiani che fossero conosciuti e apprezzati all’estero, e ieri ci ha lasciati, all’età di 81 anni. Bodei credeva nella vocazione dialogica della filosofia, vocazione che non ha mai cessato di valorizzare con il suo esempio. Era una persona mite e cordiale, e quest’aspetto della sua indole e del suo pensiero traspariva non solo dalle sue lezioni e dal suo modo di conversare, ma anche dal complesso della sua opera, che senza lasciarsi costringere in ambiti specialistici ha spaziato tra problematiche anche molto diverse rimanendo sempre “fedele ai classici” e fornendone spesso letture originali.
La filosofia moderna e contemporanea, in particolare tra il XVII e il XX secolo, ha rappresentato forse il suo campo d’indagine privilegiato, che però includeva anche la psicoanalisi, la letteratura, le scienze, la religione e, più in generale, la società. In un suo libro di alcuni anni fa, Scomposizioni (Einaudi), prese a pretesto un frammento di Hegel per introdurre il lettore ad una differenza ancor oggi significativa e attuale. Secondo quanto sostiene Hegel, gli uomini che non riescono ad attingere la vita in maniera armonica e piena sono essenzialmente di due tipi: coloro che rispettano e assecondano le regole loro imposte dalle istituzioni e dal costume, pur soffrendone e desiderando inconsciamente d’evaderle; e coloro che, pur essendo coscienti della violenza esercitata su di loro dalle circostanze storiche e sociali, tendono a considerare tale violenza come inevitabile, coessenziale alla struttura della società, e decidono quindi di sfuggire quest’ultima rinchiudendoci nell’oasi del proprio mondo interiore.
Nei primi scarseggia la coscienza dei limiti cui è sottoposta la propria condizione, per cui essi tentano di compensare la scontentezza senza nome che li affligge proiettandosi verso l’ignoto, abbandonandosi alla speranza, spesso violenta, in qualcosa di nuovo e di sconosciuto che possa estirparli dal loro stato. Nei secondi, invece, la coscienza della propria situazione è pienamente sviluppata, è attiva a scapito della vita ed essi rifuggono dall’ordine presente per rifugiarsi nelle cavità del loro mondo privato. In entrambi i casi, si tratta di due forme tipiche ed esemplari dell’individuo moderno, delle quali Bodei fornisce nel suo saggio un’analisi tanto minuziosa quanto apparentemente divagante.
In effetti, in Scomposizioni il problema inizialmente proposto riappare e scompare più volte, variamente camuffato o modificato in relazione agli autori o ai personaggi letterari in cui ha preso forma. L’alternativa ipotizzata in via preliminare si dissolve cosi in una complessa serie di sviluppi e quasi azioni, s’intreccia con molti altri problemi e alternative fino a ridursi ad un filo rosso sottile e tuttavia riconoscibile nei vari passaggi del testo. I personaggi e gli autori che successivamente assumono il ruolo d’interpreti o testimoni dell’alternative, iniziale – e tra i quali spiccano, oltre ad Hegel, anche Novalis, Hölderlin, Iperione, Goethe, Faust, Gretchen (per tacere di molti altri che hanno un ruolo appena minore) sono a volte schierati su posizioni opposte, altre volte su fronti intermedi. Se, ad esempio, Novalis è da annoverarsi tra coloro che tendono ad evitare l’impatto con la società che non apprezzano intraprendendo il misterioso cammino che va verso l’interno, poiché il mondo interiore gli pare senza dubbio più “caldo”, “familiare” e “intimo” di quello esterno, Hölderlin, diversamente da Novalis, decide d’affrontare “con fermo cipiglio i rischi del coinvolgimento negli eventi della propria epoca, anche se la sensazione urgente d’un vuoto da riempire lo spinge, come il suo Iperone, a contattare gli uomini solo per consacrarsi meglio al desiderio d’ignoto che lo pervade.
Goethe – che rispetto al problema in questione pare su una posizione opposta a quella di Novalis e comunque diversa anche de quella di Hölderlin – invita esplicitamente i suoi contemporanei a diffidare del vecchio motto socratico che sollecitava a conoscere se stessi, dato che proprio i suoi contemporanei sono inclini ad utilizzare romanticamente tale motto come una giustificazione del proprio solitario e compiaciuto macerarsi. Goethe invita al contrario a desoggettivizzare la propria vita, a studiare i fenomeni naturali e culturali che la circondano, ed Hegel, che concorda con lui nel diffidare dell’esacerbata sensibilità romantica, fa a sua volta presente come qualsiasi viaggio dentro se stessi si riveli necessariamente sterile quando ostacola il nostro desiderio di vivere pienamente la vita. Senza il coraggio d’affrontare un simile incontro, senza aver appreso a rinunciare provvisoriamente al proprio piccolo mondo per guardare oltre, verso il grande mondo che ci vincola e condiziona con le sue regole spesso invisibili, qualsiasi riconciliazione tra le due posizioni dell’individuo moderno cui si è accennato sarà preclusa e gli uomini potranno solo oscillare tra il desiderio di proiettarsi fuori verso l’ignoto – senza acquisire mai la consapevolezza delle proprie catene, prede d’uno slancio cieco e senza meta – e il desiderio d’isolarsi nel sogno amniotico della propria coscienza, relegandosi in una solitudine che li priva del conforto etico d’appartenere ad un mondo comune, increduli di poter vivere quanto stimano degno d’essere vissuto.
Oggi ci piace ricordare Bodei così, come un filosofo e un professore che ha saputo pienamente sviluppare e promuovere l’esortazione di Hegel e di Goethe a desoggettivizzare la propria vita, a non esacerbarne i momenti e i conflitti, a non isolarsi in uno slancio egotico e senza meta; ciò che Remo Bodei ha fatto in maniera esemplare, iniziando con passione i suoi allievi alla difficile arte della filosofia, che consiste nel prendere coscienza delle proprie catene senza rinunciare al piacere di sentirsi parte di una comunità.
di Gustavo Micheletti