Dark Lady Macbeth

martedì 22 ottobre 2019


Che cos’è una “Dark Lady”? Colei che strappa il cuore ai pavidi per dimostrare al mondo che il suo colore è “bianco”, pallido come il viso dei vigliacchi che fuggono la battaglia. Perché, poi, l’orrido femmineo è come un cerchio aperto bordato da un contorno spesso di sale bianco, che si chiude su due protuberanze dello stesso materiale, simulacri della sterilità a tutto campo di un seno materno arido e mortificante.

Che cos’è Lady Macbeth nella versione andata in scena al Teatro Brancaccino di Roma dal 17 al 20 Ottobre, su testi di Michele De Vita Conti e Gian Manuel Rau, per l’interpretazione della bravissima e intrigante mattatrice Maria Alberta Navello (che sarà di nuovo a Roma il prossimo gennaio al Teatro Quirino con un altro spettacolo “Arsenico e vecchi merletti”)? Una depressione profondissima e nera che attira il maschio nel suo foro smisurato, come la bocca di un vulcano apparentemente spento il cui nucleo rovente è sistemato molto più in basso, dove ti porterà la tua caduta libera per esserti affidato a una moglie mantide, che ti divorerà dall’interno affondando le sue fauci nel tuo intestino perché lei, in fondo, riesce a respirare grazie a branchie poste sulla coda. Poi, se qualcuno, un predatore, tenta di aggredirla nella sua parte esposta caudale ecco che vengono attivate difese tossiche in grado di soffocare l’incauto predatore. Perché lei, la Lady assassina, è una mixinide (myxinidae), ovvero un vertebrato che somiglia all’anguilla, la cui particolarità più curiosa (e inquietante) è l’assenza del cervello.

Praticamente senza scheletro, questo animale sarebbe in teoria la preda perfetta, ma la natura è bizzarra come il teatro: ciò che appare debole e indifeso ha un’anima d’acciaio al suo interno, in grado di sbriciolare le zanne dell’aggressore. Lady M. è disgustata da un marito che non sa andare fino in fondo nell’abisso dei delitti per brama di potere. Così, lo paragona a un barracuda, feroce ma fino a un certo punto, che sogna di essere uno squalo bianco. Da qui, letto e tetto comune diventano troppo stretti. Alla crisi di coscienza di lui si somma l’ossessione di lei delle mani macchiate di sangue del regicidio. Lei non vuole essere più sposa del Dubbio che arrovella il dubbioso. Perché così il potere sfugge: e allora a che cosa sono valsi tanta ferocia e il tradimento? La figura della Navello appare a volte come una Erinni, capelli biondi sciolti, narici furiose al vento dove le mani, le braccia, la testa rivolta verso la platea come un guanto di sfida sono protuberanze dell’ira e articolano una confessione destinata a perdere colei che evoca e ammette la sua colpa. Perché la daga che ha tagliato la testa al Re Dancan è lì intera e intatta, pronta per esplorare e a divorare la vita di chi la impugna verso se stessa per darsi pace.

In altre scene, l’Erinni lascia il posto a una Medea con la folta chioma imprigionata in un copricapo nero, stretto e aderente, che richiama una figura androgina, smisurata e minacciosa malgrado il bianco candido della veste. Lady M. assomiglia così a una Vestale corrotta, per la quale la legge pretende sia messa a morte. Le sue invettive verso il maschio reo dell’atto dissacrante è uno sterminio della logica, perché si dimentica che il cedimento alla voluttà dell’amplesso non è solo il piacere del maschio. Ma la mantide lo cancella perché, in fondo, lui è un essere inferiore con i suoi bisogni così banali e superficiali, incapace dell’amore profondo, totalizzante che solo una femmina devota può provare e donare al suo uomo. Lady M. è una spirale e il suo moto involutivo la porta sempre più rapidamente verso la china che le sue stesse correnti emotivamente depravate hanno costruito per lei. Passo dopo passo, come accade per il Pifferaio magico, prima o poi per afferrarla e gustarne il piacere carnale dovremo passare quel cerchio bianco di sale dove, a quel punto, la nostra fine sarà sicura perché il suo gorgo e il suo groviglio sentimentale non perdonano.


di Maurizio Bonanni