giovedì 18 aprile 2019
“Raffaello Chi?”. Il più grande pittore del Rinascimento o un imbianchino un po’ folle e disadattato, commesso ultra precario che vede negli scaffali del suo negozio di ferramenta l’ordine imperturbabile di un cosmo che pur ci sfugge? Simone Cristicchi, in scena alla Sala Umberto fino al 20 aprile, ne “Il manuale di volo per uomo”, metà autobiografico e per l’altro versante meta-reale, disegna un suo percorso browniano (come quello di piccolissime particelle in sospensione sulla superficie di un liquido) apparentemente disordinato ma pienamente ergodico, che obbedisce cioè alla ferree (sic!) leggi del Caos, all’interno di uno spazio bianco immacolato avaro di oggetti: un letto d’ospedale su cui giace all’apparenza una persona molto malata in fase terminale; un comodino sbilenco; una sedia dura di formica grigia. Ma come ci presenta il suo Raffaello? Facendo il ritratto di un bambino orfano poverissimo senza casa né famiglia, abbandonato alla nascita presso un istituto religioso di suore da una madre indigente costretta a prostituirsi per inviare un magro sussidio a quel figlio che rivedrà, forse, solo in punto di morte. Una mente strana la sua che sa contare mentalmente tutte le lettere di una parola, di una frase, di un discorso intero.
E questo tessuto denso, complesso e sofferto di relazioni mancanti lungo un arco di tempo che copre quarant’anni di vita malandata, viene ricostruito dal protagonista in età adulta con lo sforzo ciclopico di chi non ha mai praticato le belle lettere, dove cioè le frasi sincopate di un discorso antifilologico inciampano senza sosta nei dilemmi lessicali di una lingua ostile, con la debita eccezione del dialetto romanesco che si limita però ai fondamentali lasciando campo libero alla gestualità, assai più idonea della parola a coniugare sentimenti forti e contrastanti. Gli eventi passati che hanno lasciato un segno profondo nella vita vissuta di Raffaello-Cristicchi sono rigenerati in base a un monologo che procede “per saltum” rievocando personaggi-fantôme del tutto disconnessi tra di loro, come la ragazza slava e tossica assassinata dai trafficanti; le suore buone e quelle cattive; i colleghi di lavoro; l’anziana maestra salvatrice, laddove le linee di demarcazione delle loro apparizioni sono rappresentate da altrettante righe spesse di colore azzurro cielo, simbolo della sublime follia dell’Uomo che vuole imparare a volare, disegnate da una pennellessa distratta sulla salopette da lavoro di un bianco immacolato, che una narrazione colma di paure e di rimpianti dolorosi per una figura di madre assente imprimerà per pennellate successive sulla tuta di Raffaello.
Così il figlio sceglie il suo dialogo impossibile con la madre possibilmente defunta e certamente scomparsa, distendendola su di un lettino d’ospedale con un lenzuolo che ne copre la figura intera come un sudario, inveendo furiosamente contro quel suo fantasma e commuovendosi di continuo solo a immaginare la scena della sua dolorosa passione prima del trapasso terreno e di quel colloquio tanto desiderato per tutta una vita. Così una stanza quasi completamente spoglia di un immaginario reparto ospedaliero si popola dei personaggi che hanno lasciato un segno nella vita del protagonista, rimasto zoppo dopo aver riportato gravi fratture a seguito del suo primo tentativo “autonomo” di volo dal terzo piano di uno stabile. Il primo, involontario, da bambino, gli aveva regalato l’ebbrezza indimenticabile del volo libero quando travestito da angelo era uscito miracolosamente illeso cadendo in terra e atterrando nella mangiatoia del presepe dopo un salto di sei metri nel vuoto, in occasione della recita scolastica per la rappresentazione del Santo Natale nella sala delle feste della sua casa famiglia. Perché il volo libera dalle catene della privazione terrena allontanandoci da quel tugurio di un seminterrato senza bagno né acqua corrente dove i roditori contendono al poverissimo ospite quel cibo scarso che la carità della gente gli ha regalato. Un fatto verosimilmente vero, dunque, centrato all’interno di un alone di sogni.
di Maurizio Bonanni