mercoledì 3 aprile 2019
La notte della Repubblica, o prima che metta neve, quando un bianco sepolcrale verrà a coprire ciò che resta della generazione perduta, quella di vent’anni dopo il 1968, divorata dall’eroina o dalla peste ideologica della lotta armata. Sparare lì dove si intravvedono le orme di chi porta la divisa o il vestito scuro del servitore dello Stato; commettere mille delitti e perfino omicidi per autofinanziare cellule, attentati e latitanze dei militanti, perché, in fondo, ci si sente orfani di un popolo che non ne vuole sapere di farsi salvare! Puri esercizi di autolesionismo sadomasochista, per fare scempio delle famiglie delle vittime e di quelle proprie di quegli assassini per nulla. Tutto ricompattato in una narrazione fitta-fitta in “Prima della neve” di Claudio Coletta, Sellerio Editore 2019. Protagonisti Michele, fratello maggiore di Chiara, e Simone, il suo migliore amico e compagno di liceo, perdutamente innamorato della sorella di lui e da lei ricambiato con identica passione. Storia banale come tante, destinata a durare tutta la vita e magari finire con un matrimonio e un’indimenticabile festa di nozze, con corredo di lauree e di figli bellissimi. Se non vivessero tutti e tre negli Anni di Piombo. E se i primi due non fossero finiti latitanti come appartenenti alla cellula romana del Partito comunista combattente, formazione scissionista delle Brigate rosse e ancora più radicale nella sua strategia di lotta armata.
Ambedue catturati con esiti opposti: Simone irriducibile, finito dodici anni nel carcere duro di Badu ‘e Carros in Sardegna. Pentito e collaborazionista Michele rifugiatosi a Parigi e protetto per decenni dalla “Dottrina Mitterand”. La storia procede a varie voci: un Narratore esterno che ricostruisce i fatti e crea nessi sentimentali e relazionali assecondando una fitta tessitura di sentimenti profondi tra congiunti e amici del tempo; un io presente della protagonista che cerca la soluzione di un giallo o di una disgrazia; infine un narratore interno che ricuce i lembi della cesura tra accadimento presente e le cause di cui è conseguenza. Così quella che sembrava un’indissolubile ed eterna amicizia tra uomini, perché legata a esperienze traumatiche e inconfessabili di un combattimento contro il mondo intero, diviene un soggetto malato corroso dal risentimento, dall’invidia e dalla follia di una violenza adrenalinica che torna per farsi ladra degli affetti vitali di quello che fu l’amico più caro, per toglierli l’anima e cercare di sostituirla alla propria annichilata dal rimorso del tradimento passato. Il tutto retto da una delicata impalcatura narrativa costruita attorno a personaggi e figure di anziani che hanno un carattere consolatorio e rasserenante, come le figurine dei bravi pastori del presepe, figli ed eredi delle tradizioni montanare, custodi dei bellissimi e incontaminati paesaggi carsici, con le loro valli fertili, le malghe e le fattorie che si posano lievi sulle alture e lungo i sentieri di montagna.
1977-78, ovvero gli anni di piombo. Gente che credeva ancora nella lotta di classe e nella forza rivoluzionaria del proletariato. Ma le masse straccione che fecero la rivoluzione russa erano davvero affamate, incredibilmente povere e sfruttate. In Occidente invece, in quella fine degli anni Settanta, si era aperto il grande casinò del benessere per tutti, dove l’ingiustizia sociale era semplicemente scomparsa, sostituita dall’euforia collettiva del giocatore dostoevskiano che scommette tutto ciò che ha contro il banco: si perde (spesso) e si vince (quasi mai). Ma è l’adrenalina quella che importa: partecipare al grande gioco del mercato dei consumi, da entrarci spesso a gamba tesa, guadagnando denaro in ogni modo, con abusi, raggiri, corruzione, produzione e lavoro nero che sfugge alla tassazione, mangiandosi il territorio con la speculazione selvaggia e il turismo cialtrone di massa. Quale carcere duro è mai l’intelligenza che non ti permette il sonno della Ragione: vorresti non capire e non puoi fare a meno di farlo. Così, forse, per disperazione e follia diventerai un brigatista.
di Maurizio Bonanni