venerdì 1 giugno 2018
L’anniversario dell’uccisione dell’inviato del Corriere della sera e presidente dei giornalisti lombardi Walter Tobagi ci riporta ad un decennio di lutti, violenze, rapimenti, rapine, uccisioni che trovano la base ideologica nella lotta armata allo Stato (rapimento e uccisione del leader Dc Aldo Moro) e al tentativo d’imporre una rivoluzione con l’uso della forza.
In quei dodici anni tra i Settanta e l’inizio degli Ottanta quasi tutti i movimenti parlavano di lotta armata: Potere operaio, Lotta continua, Avanguardia operaia, Unione dei Comunisti-leninisti, Brigate Rosse. In qualche modo soltanto il Movimento studentesco, anche se intendeva dare una spallata al potere, rimase fuori dalle suggestioni del conflitto armato.
Quando soprattutto le Brigare Rosse scatenarono azioni contro uomini e simboli dello Stato i media furono costretti a dare al fenomeno un’attenzione particolare. Ci si interrogò sul perché della violenza e della lotta armata in un paese come l’Italia che sta rimarginando le ferite dell’ultima guerra. Perché i cortei e i picchetti operai andavano oltre alla contrapposizione sociale.
Tra i primi giornalisti a comprendere le radici profonde da cui scaturiva la volontà della lotta armata fu Walter Tobagi, attento conoscitore dei fenomeni sociali e conoscitore della vita in fabbrica. Oltre ad approfondire l’evoluzione dei movimenti della classe operaia era lui stesso un sindacalista come presidente dell’Associazione giornalisti della Lombardia.
Quel 28 maggio 1980 stava uscendo dal portone di casa per andare al giornale quando un gruppo di terroristi della colonna Alasia (Formazione comunista combattenti) gli sparò 4 colpi a tradimento alle spalle. La ferocia dell’agguato è stata raccontata nel dibattito processuale: il capo dei quattro attentatori Marco Barbone dopo aver esploso tre colpi contro Tobagi, che cadde a terra con l’ombrello, accortosi che era ancora vivo esplose il colpo fatale, alla nuca.
La Brigata 28 marzo aveva prima gambizzato, mentre usciva di casa, il giornalista de La Repubblica Guido Passalacqua e nel mirino c’erano anche Livio Caputo, Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca.
Barbone confesserà di aver individuato Tobagi “come figura di spicco all’interno della corporazione giornalistica”. Le Br già nella “campagna di primavera” del 1977 dopo l’uccisione di Fulvio Croce presidente degli avvocati di Torino avevano cercato di alzare lo scontro gambizzando il direttore de Il Giornale Indro Montanelli, del TG1 Emilio Rossi e ferito il Vicedirettore de La Stampa Carlo Casalegno che morì dopo 13 giorni di atroci sofferenze in ospedale.
Con l’uccisione di Walter Tobagi inizia anche il declino dell’emergenza degli anni di piombo. Le leggi speciali in materia di ordine pubblico non avevano dato grandi risultati. Ci volle un’intuizione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di trasformare in “legge premiale” la vecchia e collaudata delazione per varare la norma sui “pentiti” introdotta con la legge Cossiga del 1980, una delle più importanti innovazioni legislative per combattere il fenomeno della lotta armata.
I giornalisti milanesi con i presidenti dell’ALG Paolo Perucchini e della Federazione della stampa Giuseppe Giulietti si sono ritrovati in tanti in via Salaino, luogo dove fu ucciso, per ricordare la figura di Walter Tobagi. “Uccisero un uomo - è stato detto - non le sue idee”. Da giornalista ripeteva Bisogna cercare di capire per poter spiegare e da sindacalista suggeriva: “Non sono le parole tonanti ma i comportamenti di ogni giorno che modificano le situazioni, danno senso all’impegno sociale. Il gradualismo, il riformismo, l’umile passo dopo passo sono l’unica strada percorribile per chi vuole elevare davvero le condizioni dei lavoratori”.
di Sergio Menicucci