venerdì 23 febbraio 2018
Il romanzo borghese ottocentesco ha una originale rivisitazione nell’opera di Franco Monaca, autore di origini siciliane che, con “Flora Pomona” (Prospero ed., 2017), arriva alla terza pubblicazione nel giro di due anni. Sembra che le storie di Balzac, Flaubert ma anche D’Annunzio e Vitaliano Brancati rivivano nelle pagine di questo scrittore dallo stile di altri tempi, a tratti estetizzante, fortemente introspettivo e che affascina il lettore con i suoi intrecci pieni di romanticismo, ricerca psicologica e caratterizzazione storica.
L’ultima opera, perché di vera opera si tratta, essendo tutti volumi superiori alle trecento pagine che Monaca dipana con generosità regalando emozioni, suggestioni e riflessioni che il lettore vorrebbe non finissero mai, è una classica storia borghese vissuta tra la Parigi e la Sicilia degli anni Cinquanta; narra di Flora, un’affascinante giovane della Sicilia sud-orientale che sogna di fuggire dal conformismo gretto della situazione storico-sociale in cui è immersa. Come la dèa omonima dell’antichità - Flora Pomona - signora della primavera e del risveglio, divinità matriarcale della natura, la protagonista esercita un fascino conturbante sugli uomini che la porterà a conquistare dapprima Antonio, giovane benestante, ma un po’ rozzo e succube della famiglia, con il quale costruirà sei anni di compromessi e monotonia. Si tratta di un matrimonio da cui Flora ha molto da guadagnare, anche a costo di sacrificare parte della propria libertà; in questa fase vediamo la nostra rifuggire dalla via di Madame Bovary e comportarsi piuttosto, su consiglio della madre, come la principessa de Cleves, restando stoicamente al suo posto di fedele consorte.
Questo equilibrio andrà avanti finché Flora e Antonio si renderanno conto di non poter avere figli. Qui Monaca fa una stoccata alla concezione vetero-maschilista del tempo, in cui per ogni problema di ordine familiare si attribuiva automaticamente la colpa al gentil sesso, come nel caso di Antonio che, nella clinica elvetica del dottor Herder, si stupisce di essere lui sterile e non la moglie, cosa inconcepibile per la mentalità del tempo. Con questo l’autore mette in evidenza l’importanza dei diritti civili e di come oggi, con settant’anni di cultura liberale in più alle spalle rispetto ad allora, il nostro stile di vita sia molto evoluto, garantendo il rispetto delle diversità; ma forse è anche un monito a tenere sempre alta la guardia contro ogni tipo di autoritarismo o dispositivo che minacci l’autonomia della persona, perché nella Storia nulla è assodato: dipende sempre dal libero arbitrio di ognuno costruire mondi, comunità e rapporti basati su un’eticità che metta al centro la libertà dell’essere umano.
L’incapacità di generare porta la crisi nel matrimonio fino a quando Flora decide di recarsi a Parigi per seguire un corso estivo di lingua, all’Alliance francaise. Nella capitale transalpina conoscerà Henri, giornalista di belle speranze, intellettuale engagé e libertino, nonché reporter di Liberation nei paesi nordafricani. Dopo un periodo di corteggiamento, in cui Henri dimostrerà a Flora che “i parigini, se presi nel verso giusto, possono essere altrettanto ospitali rispetto agli italiani”, Flora si abbandona a questo nuovo amore e a una nuova vita, piena di impegni, interessi, incontri, dove sarà lei stessa finalmente artefice del proprio destino.
Nel romanzo si indugia particolarmente sui viaggi in paesi esotici che Henri e Flora realizzano a più riprese. Queste non sono divagazioni alla Pierre Loti, ma tappe in cui prende forma il rapporto tra i due e in cui Flora, conoscendo nuovi mondi, avrà un’ulteriore maturazione psicologica - del resto, il romanzo è ambientato negli anni in cui Claude Levy-Strauss scrive “Tristi tropici”, segnando un’apertura del pensiero a nuovi orizzonti e una fuga dal rigido eurocentrismo, base per un modo di analizzare il mondo capace di rendere conto delle diversità. Per Flora, questi viaggi costituiranno la presa di contatto con realtà fino ad allora ignote e soprattutto poco considerate. A Raiatea, scoprirà la civiltà polinesiana e si renderà conto che il mondo è più vasto di quanto avrebbe pensato. Nel Madagascar, entrerà in contatto con una natura incontaminata dove consumerà un’esperienza quasi mistica, contemplando l’immensità della volta e ascoltando “la musica del silenzio” - temi questi che anticipano tratti della beat generation.
La protagonista di questo romanzo, presentato il 20 febbraio presso la sede della Fuis a Roma, sembra incarnare quel principio femminile capace di imbrigliare la potenza maschile, dionisiaca e, nella sua variante moderna, libertina, incarnata da Henri, che si faceva un vanto di non aver mai avuto storie durature. Ma con Flora, Henri metterà in discussione il suo stile di vita e arriverà addirittura a una richiesta di matrimonio. Come andrà a finire la storia tra i due? Naturalmente, sta al lettore scoprirlo, immergendosi nelle ispirate, eleganti e mai tediose pagine di “Flora Pomona”.
di Mario Sammarone