Il rapporto col tempo del “Nullafacente”

sabato 4 marzo 2017


Il prolifico autore Michele Santeramo torna anche ad essere attore ne “Il Nullafacente”, regìa di Roberto Bacci, in debutto nazionale al Teatro Era di Pontedera (PI) fino al 12 marzo. E noi torniamo ad incontrarlo.

Di cosa racconta?

Di un punto di vista differente tra questo personaggio e il suo proprio personale tempo. Il nullafacente non ha smesso di fare, ma ha deciso di fare diversamente, in un modo che - per la società nella quale viviamo - equivale a non fare niente. Lui non fa più ciò che fanno gli altri, ma - senza che questo li coinvolga, non vuole essere maestro di niente - attiva una sua ricerca fondata sul tentativo di non perdere tempo, di non farselo togliere; anche perché, con una moglie malata terminale, capisce che il tempo a sua disposizione deve esser vissuto pienamente, e questa è l’unica maniera per farlo.

Lo spunto da dove è venuto?

Da un’idea meno matura di questa, semplicemente legata al fatto che cominciavo a mal sopportare ritmi e dinamiche imposte, e mi accorgevo che - condividendo questa stanchezza e riflessione con altri - più o meno tutti eravamo nella stessa condizione. Il nullafacente dice: “La gente si chiede sempre cosa deve fare per stare bene, io invece ho capito che bisogna chiedersi cosa non fare”. Quando dico così alle parsone, sento che qualcosa vibra, di comune; allora ho pensato che se provo questo, e se devo scrivere spettacoli con personaggi nei quali la gente possa riconoscersi, allora forse questa è la strada giusta.

La costruzione dello spettacolo, dal testo alla messinscena?

In questo caso, ancora più del solito, il testo è passato in mezzo a centinaia di revisioni perché i temi toccati sono così importanti che non volevo diventarne schiavo, ma trattarli in maniera leggera. Il percorso è stato lungo, poi condiviso da un certo momento in avanti con Roberto Bacci, il quale un giorno - a bruciapelo - mi ha chiesto se volessi essere io il nullafacente in scena. Questa è un’esperienza che ho fatto molti anni fa, negli ultimi tempi sul palco ci sono stato soltanto davanti a un leggìo, raccontando storie. La suggestione di rappresentare un personaggio a cui mi ero così tanto affezionato ha poi vinto sulla timidezza e su tutto il resto. Ho incontrato un gruppo di attori straordinari che mi hanno accolto da subito con grande fiducia, il resto del percorso è stato più semplice e soprattutto molto più bello di quello che potevo immaginare.

Rispetto ai tempi in cui viviamo, una delle massime più appropriate recita così: “La vita è quello che succede mentre siamo impegnati a fare altro”.

Ecco, il nullafacente ha smesso di fare altro, si è semplicemente concentrato sulla sua vita, sul suo tempo. È come se questa società ormai guardi ciascuno di noi, e faccia in modo che diventiamo ciò che essa vuole, consapevolmente o meno. Il nullafacente ha smesso di essere guardato e a sua volta si è messo a guardare, ha riconosciuto quali sono i suoi bisogni e li ha distinti dai propri desideri, distinguendoli anche da quelli indotti; quindi, sa esattamente quello che vuole per sé e ci si dedica, senza voler diventare maestro di nessuno, anzi avendo un maestro in scena: un bonsai, che - secondo lui - è riuscito a trovare vita anche costretto dentro un vaso.

Non crede che quella del tempo sia un’ulteriore forma di controllo sull’individuo?

Penso proprio di sì, tant’è che quando la moglie, preoccupata della propria condizione, gli chiede: “Secondo te ci arrivo all’anno prossimo?”, il nullafacente risponde: “Un anno è soltanto tempo, decidi tu quanto dura”. Lui ha capito che il tempo non è cronologico, non è riferito allo spazio né a null’altro rispetto a come si vuole - e soprattutto, si riesce - a starci in mezzo, senza farselo rubare. Faccio sempre quest’esempio: se io andassi da un conoscente e gli chiedessi cento euro, difficilmente me li darebbe, ma se invece gli chiedessi un quarto d’ora del suo tempo per far due chiacchiere molto probabilmente me lo darebbe, come se valesse meno di cento euro. Questo è l’inghippo nel quale siamo tutti coinvolti.

Riguardo ai problemi che vive il teatro a Roma, la Toscana rappresenta uno degli esempi virtuosi, se ad esempio pensiamo a residenze e produzioni.

Sì, io poi ho un rapporto molto stretto con Pontedera, che negli ultimi tempi è diventata Teatro nazionale della Toscana. Qui si ha la sensazione che uno spettacolo come questo - che ha avuto bisogno di un tempo lungo di incubazione e tante mani che lo sostenessero - non è un caso che si sia realizzato proprio qui, perché in una condizione di grande cura e di ricerca.

Un bilancio di questo suo periodo artistico?

Sicuramente positivo, il “Preamleto” ricomincia ora una tournée a Brescia e Palermo e sono felicissimo perché molto affezionato al testo, alla regista, al gruppo. Poi, si è attivata una collaborazione col Piccolo di Milano, ho curato una riscrittura di “Uomini e no” di Elio Vittorini, con Carmelo Rifici che ne curerà la regìa. So benissimo che devo stare attento a non pensarci troppo e continuare a lavorare, nonostante quello che dice il nullafacente.


di Federico Raponi