L’intervista al regista Roberto Andò

giovedì 26 gennaio 2017


Regista, sceneggiatore, scrittore, Roberto Andò, palermitano classe ‘59, non ha bisogno di presentazioni. Autore nel 2012 de “Il trono vuoto” – con il quale si è aggiudicato il premio Campiello opera prima – nel 2013 ha realizzato, partendo dal libro, il film “Viva la libertà”, David di Donatello per la migliore sceneggiatura. Nel 2016 ha diretto “Le Confessioni”. E dal cinema torna al teatro, per firmare la regia di “Minetti. Ritratto di un artista da vecchio”, un testo affascinante interpretato dall’immenso Roberto Herlitzka. C’è un anziano attore alla fine di un viaggio che non vedrà ritorno nel Minetti che nel 1976 l’austriaco Thomas Bernhard dedicò all’attore tedesco Bernhard Minetti, feticcio delle proprie opere sceniche, in un hotel senza luogo e senza tempo in cui trascorre, in solitudine, la notte di capodanno in attesa di andare in scena per l’ultima volta nel ruolo di Re Lear, riflettendo sulla sua vita e sul suo mestiere. Abbiamo incontrato il regista per saperne di più.

Il testo di Bernhard risulta quasi un’imprecazione contro il teatro. Com’è stato dirigerlo?

In tutta l’opera di Bernhard ricorre il tema dell’amore e dell’odio per il teatro, che rappresenta al contempo un luogo di autenticità, ma anche di possibile equivoco. E l’attore è dunque figura esemplare di quest’acrobazia. Minetti diventa per Bernhard portavoce di una dimensione esistenziale. E finanche di questo rapporto di continua attrazione e contestazione del teatro che, come tutte le contestazioni, nasconde un amore per il teatro, e per il grande attore tedesco Minetti, che adesso rivive attraverso Roberto Herlitzka.

Il Minetti ruota tutto intorno alla figura dell’attore. Cos’era l’attore per Bernhard e quale è il suo rapporto con gli attori?

Io amo molto gli attori, li conosco personalmente. Venendo dal teatro creo un rapporto con ciascuno, per cui mi fa piacere confrontarmi con loro. Quando io ho cominciato a fare teatro, accostandomi dalla prospettiva di Kantor, mi sono scontrato con un teatro che non coincideva con un certo tipo di attore. Kantor sosteneva che per recitare a teatro prima bisogna trovare il luogo della vita. E Bernhard è sulla stessa lunghezza d’onda. Si tratta di autori che cercano un punto di intensità bruciante della vita. E in questo l’attore è un tramite, ma anche un possibile traditore. Anche io sono partito da un’idea di teatro legata all’avanguardia. Accostandomi da contestatore, mi sembrava che gli attori, con il loro fare, fossero insufficienti. Cercavo di seguire esempi di teatro che facessero esplodere il palcoscenico. E in questo l’attore è un tramite straordinario. Mi sono sempre confrontato con grandi attori. Ho bisogno di complici. Roberto Herlitzka è uno di quegli attori. Ho pensato a lui, è congeniale a questa drammaturgia, ti trasmette un pensiero senza far uso di parole e trasmette anche questa ribellione, questo senso di esilio dalla vita che un grande attore manifesta. È sempre presente la sensazione di una ferita, di un esilio. Del resto il trovare conforto nell’arte drammatica nasce per lo più da un desiderio di fuga.

Lo spettacolo ha esordito la scorsa stagione a Palermo, dopo le date romane lo porterete altrove?

Al Piccolo di Milano, poi a Torino, faremo una piccola tournée in 7 città.

Cinema e teatro: come si muove nei diversi ambiti?

Considero un privilegio lavorare sui due fronti. In Italia ci sono state in passato figure come quella di Visconti, Zeffirelli, Bolognini, che lavoravano sia sul palco che sul grande schermo, adesso è più raro, mi viene in mente solo Mario Martone oltre me. Trovo benefico invece che anche gli attori di cinema abbiano capito l’importanza di misurarsi con il teatro. Nella cultura anglosassone questa pratica è molto più radicata.

Progetti futuri, tra palco e grande schermo. Sta lavorando a qualcosa?

Sto lavorando ad un film di cui non posso al momento dire molto... ho una sceneggiatura che mi piace e spero di realizzarlo il prossimo autunno. E poi è in cantiere una fiction per la Rai, sulla politica, strutturata in 12 puntate.


di Elena D’Alessandri