Uno zoo di bar al Piccolo Eliseo

sabato 14 gennaio 2017


Orfeo è un mito o una “Carrozzeria”? Dipende. Oggi a teatro coincide con l’esilarante compagnia di “Thanks for vaselina”, che già ci parlava di stranissimi esseri che coltivavano un florido orto domestico di marijuana in una serra delle dimensioni di un ascensore. Oggi, invece, “Animali da bar” - in scena fino al 22 gennaio al Piccolo Eliseo di Roma - va ancora oltre, facendo leva su di uno straordinario personaggio femminile: la barista-badante-madre-surrogata Mirka (Beatrice Schiros, perfetta nella parte) dal “vaffa” facile e dal cuore caldo, ma segregato in un teca di ghiaccio ucraino, nel cui ventre materno ingrossa un feto eterologo del più classico utero in affitto. Gelato il passato di Mirka, come la sua infanzia, percorsa dai fremiti di stupri e massacri etnici, per i cui sopravvissuti l’Europa matrigna e imbelle è il solo, possibile rifugio per trovare un pasto caldo e pochi euro in nero. Così si arriva al più misterico dei bar immaginati dall’occhio dello scrittore perverso Swarovski (Pier Luigi Pasino), il quale inchiostra confusamente i suoi personaggi con storie personali e collettive che sembrano sfuggirgli sistematicamente di mano, vivendo testardamente di una vita propria, autonoma.

Contano i peni corti e il calcolo ribelle di Milo (Gabriele Di Luca), necroforo di animali domestici e cinico nipote di un nonno malato terminale (cui Alessandro Haber presta la sua voce baritonale, profonda e dissacrante), tonante e invisibile, proprietario del locale, che giace al piano di sopra e comunica con l’ambiente sottostante attraverso una sorta di gigantesco walkie-talkie nero pece. Gli altri disturbatissimi avventori sono un allampanato Sciacallo (Paolo Li Volsi), bipolare e sbandato topo di appartamento che viola le serrature delle case di ricchi e solitari defunti, il quale ha un problema pluridecennale e adolescenziale con la sua vecchia classe liceale, che lo ha costretto a saltare dalla finestra del secondo piano della scuola procurandosi una irreversibile e vistosa zoppia alla gamba destra. La sua ossessione: sentirsi ora un alieno dopato, ora un Hitler per annientare come al Bataclan i suoi odiati e feroci compagni di scuola. Infine c’è lui, forse l’elemento più fragile del gruppo: il donatore del seme che ha una moglie in carriera, per nulla intenzionata a sorbirsi le noie di una gravidanza naturale, che lo sottopone a continue violenze domestiche, fino a procuragli una piccola lesione cervicale. Infatti lui, Colpo di Frusta (Massimiliano Setti), fa il suo ingresso sulla scena indossando il ben noto collarino bianco di chi viene violentemente tamponato in auto.

Tutti, in fondo, hanno un soprannome. Perché nell’animalia da bar così si usa. Ma la pièce è un flusso complesso di sentimenti intensi, in cui le battute e la recitazione esilarante di Mirka sono come un sudario su cui compaiono scritte oscene e ingiuriose, che ben occulta il motivo vero per cui il defunto (l’umanità e la società occidentale, in questo caso) giace lì disteso, senza più forza per esternare una sua cultura, una proprietà antica e perduta del linguaggio, morta come le sue tradizioni, vittime della concreta invisibilità dell’Altro, che non conta più nulla come persona ma solo come portatore di un qualche interesse tangibile. La rivelazione viene dal problematico, così come la complessità deriva da questioni semplici ma imbricate l’una nell’altra, tanto che la loro dissoluzione e scioglimento è cosa di fatto impossibile.

Spettacolo a suo modo davvero originale e imperdibile.

(*) Per informazioni: Teatro Eliseo


di Maurizio Bonanni