“28 battiti”: quando si vince barando

giovedì 10 novembre 2016


Il doping, che si estende anche alla vita sociale. Produzione del Teatro di Roma, ispirato al marciatore Alex Schwazer, interpretato da Giuseppe Sartori, lo spettacolo “28 battiti” è in scena all’India - in prima nazionale - fino al 20 novembre. Rivolgiamo alcune domande all’autore, Roberto Scarpetti, talento classe 1970.

Rispetto ai suoi tre lavori precedenti, legati a fatti di sangue (“Viva l’Italia - le morti di Fausto e Iaio”, “Roma/est”, “Prima della bomba”), come è arrivato a questo argomento?

Quattro anni fa ero rimasto molto colpito dalla vicenda di Alex Schwazer, dalla sua prima positività, che venne fuori ad una settimana dai Giochi olimpici di Londra. Infatti il monologo l’ho scritto nel 2013, però l’accostamento alla sua storia è unicamente tematico, perché poi non ho trattato nulla di quello che gli è successo negli ultimi mesi. Quindi, la scrittura mi ha portato verso un’elaborazione del personaggio; mi aveva impressionato il modo in cui lui ha ammesso il doping e mi era sembrato molto interessante raccontare una figura che - attraverso una crisi profonda dettata da una scelta sbagliata - riuscisse ad affermare in maniera diversa i propri desideri.

Come è sviluppata la vicenda sportiva e umana?

In un certo senso si racconta la discesa agli inferi di un atleta che decide di ricorrere al doping. È un monologo interiore, quindi la narrazione procede seguendo il personale percorso di consapevolezza rispetto al tema principale, che è l’ossessione per il corpo, per lui come anche per altre figure professionali - ad esempio gli attori o chiunque lavori con il proprio fisico - ma generalmente anche per tutti noi. Il corpo, e quello che esso arriva a rappresentare per gli altri, diventa un punto cruciale della nostra vita. Quindi il personaggio, pian piano, arriva a ripensare tutto il suo passato - proprio in chiave di quello che è stato lo sfruttamento del fisico - cercando di elaborare quello che è veramente, e quindi quali sono le proprie doti, alla luce di scelte che partono dall’adolescenza e arrivano fino all’errore in questione.

Quale documentazione ha utilizzato per la scrittura?

Rispetto allo spettacolo precedente (“Prima della bomba”, ndr) che ha avuto una lunga fase di ricerca prima di arrivare al testo, questo l’ho scritto molto velocemente, anche perché è un flusso di coscienza, una confessione, non viene raccontato il doping. Dopo le prime stesure, quest’anno - sapendo che poi avrei lavorato alla messinscena - ho cercato di inserire più l’aspetto scientifico, e ho letto i report delle commissioni anti-doping, anche per capire quali sono le differenti tecniche per raggiungere dei risultati attraverso il doping in modo che non venga rilevato. Il che è possibile, anche considerando l’ultimo scandalo della Federazione russa: se il doping è di Stato, è difficile scoprirlo.

Nell’atletica leggera, come nel ciclismo, il doping ha messo in crisi non solo il concetto di purezza connesso alla persona che mette alla prova se stessa, ma anche e soprattutto la diffusa passione popolare per questi sport.

Credo che il doping sia molto difficile da giudicare, perché difficile da definire, ci sono sempre nuove sostanze e metodi per migliorare le prestazioni fisiche, quindi l’anti-doping è sempre un po’ in ritardo rispetto alla scienza medica. Il problema ritengo che sia, più che altro, la forza che hanno determinati sport, perché penso che ci sia del doping ovunque, solo che molto spesso - dove circolano tanti soldi - è più difficile che certe storie vengano fuori. Ad esempio: io credo che esista anche nel calcio, che però fa girare talmente tanto denaro che è diventato più uno spettacolo che uno sport. Poi, secondo me, l’altro aspetto interessante dell’argomento è anche la colpevolizzazione degli atleti che sbagliano, perché è come se l’idealizzazione dello sport fosse così alta da non poterli perdonare. Nella società, poi, ci sono tanti casi che possono essere in qualche modo paragonati al doping. Infatti, se doping è prendere un posto che non ci spetta perché abbiamo barato, allora lo è anche una raccomandazione, ma siamo talmente abituati a considerarla una normalità che il raccomandato non viene assolutamente crocifisso come lo sportivo; il quale, per un errore, viene squalificato per quattro anni.

Nella nostra società, oggi, qual è la concezione che si ha del corpo, e cosa gli si chiede?

Credo che bene o male siamo abituati, anche chi non lo fa direttamente, ad accettare un intervento sull’aspetto fisico, perchè comunque il corpo è il modo in cui ci presentiamo al mondo. La negazione dell’invecchiamento è un’operazione pesante sul corpo, e quindi - sempre facendo un paragone “assurdo” - doping può essere pure l’intervento che un attore fa su se stesso per poter continuare a interpretare delle parti che probabilmente potrebbero essergli precluse dall’età che avanza. Invece, il talento performativo va oltre questo, io posso benissimo credere – soprattutto a teatro, nel cinema è più difficile – che un attore in scena abbia un’età differente da quella sua reale.


di Federico Raponi