La scuola cattolica di Edoardo Albinati

martedì 8 novembre 2016


Il libro “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega di quest’anno, suscita diversi motivi di interesse, poiché è un grande affresco sull’Italia degli anni Settanta e su di un’epoca tramontata per sempre. Nelle oltre 1290 pagine l’autore raffigura la sua educazione sentimentale nella scuola privata e cattolica San Leone Magno, frequentata da alcuni giovani di estrema destra, alcuni dei quali nel 1975 commisero un atroce omicidio passato agli annali della cronaca come il delitto del Circeo.

Nella prima parte del libro vi sono riflessioni di notevole profondità sulla religione cattolica e i dubbi filosofici che da essa derivano per la ragione umana. Memorabile nel libro è il ritratto delineato dall’autore dei suoi insegnanti, sacerdoti e professori cattolici e laici che attraverso l’insegnamento delle materie umanistiche e scientifiche miravano ad instillare il valore del dialogo nella mente degli studenti, per indurli a rispettare il prossimo e abituarsi al confronto dialettico. Tutto il libro, lungo ma coinvolgente, è basato su di un perfetto equilibrio tra una parte saggistica, dove si analizza il modo con cui si forma l’immaginario e l’identità maschile degli adolescenti, che frequentavano una scuola in cui erano assenti le donne, e una invece narrativa in cui i ricordi dell’autore convivono con la descrizione di alcuni eventi di cronaca, come appunto il delitto del Circeo e altri episodi.

Albinati con la sapienza del grande scrittore tratteggia il delitto del Circeo, che all’epoca generò scandalo, indignazione e discussioni infinite nella società italiana a tutti i livelli. In quel tempo, personaggi come Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, responsabili del delitto del Circeo, si atteggiavano a esponenti di estrema destra ed a seguaci del fascismo. Proprio negli anni in cui avvenne questo fatto terribile, vi era nel nostro Paese una dura contrapposizione tra i famosi doppi estremismi, quello neofascista, e quello di estrema sinistra, da cui derivò il terrorismo rosso. Il delitto del Circeo, di cui furono responsabili tre giovani della Roma bene, che con l’inganno circuirono e condussero due ragazze di umili condizioni in una villa elegante situata di fronte al mare a San Felice Circeo, per torturarle e seviziarle, fino a provocare la morte di una delle due giovani, viene dall’autore messo in relazione con due fatti storici: il neo fascismo e l’emancipazione femminile, nel libro trattati e descritti con ammirevole profondità letteraria.

Il fascismo che sopravvisse nella società italiana in epoca democratica, continuando ad esercitare un potere di fascinazione su alcuni giovani borghesi di estrema destra, seguaci e lettori di Nietzsche, Jünger e Evola, era basato sulla mitologia degli Eroi e sulla esaltazione della azione vitalistica e sul culto ossessivo della violenza. Per Albinati il dominio di classe, che era evidente nel delitto del Circeo (i giovani ricchi che approfittano delle proletarie prive di mezzi e cultura), rivela come per i fascisti era in quel tempo intollerabile il processo di emancipazione femminile, che con l’avvento della modernità ha mutato il costume e le relazioni tra i sessi. Le pagine del libro dove Albinati, in una sorta di confessione autobiografica descrive il rapporto di amicizia con Arbus, un suo compagno di scuola dotato di grande intelligenza, e quelle della sua storia d’amore con la sorella del suo amico, Leda, sono tra le più intense sotto il profilo letterario.

Nella vasta narrazione del libro vi è un momento dove l’autore, dopo aver abbondato in pagine analitiche per spiegare l’impulso che spiega la dinamica terribile e ignobile dello stupro, si chiede in che senso i giovani borghesi romani del quartiere Trieste e dei Parioli fossero liberi e consapevoli e responsabili. Questo interrogativo dischiude nel libro una riflessione sulla educazione cattolica, sulla relazione delicata e complessa tra bene e male, sui motivi per i quali i dieci comandamenti di Mosè non sempre sono osservati dagli uomini. Mentre si trova in montagna per sciare, ancora adolescente, l’autore si ammala e ha una visione in cui vede Mosè che con la spada fiammeggiante enuncia solennemente i dieci comandamenti, che gli uomini sovente dimenticano di rispettare, sicché diventa più facile fare il male anziché il bene. Nella parte finale di questo monumentale libro, l’autore trascrive e commenta i pensieri del suo professore di Lettere del S.L.M., Cosmo, a cui deve la sua passione per la letteratura e la scrittura. 


di Giuseppe Talarico