L’antimafia secondo Francesco Forgione

sabato 22 ottobre 2016


Nella prestigiosa sede della stampa estera di Roma è avvenuta la presentazione del libro “I Tragediatori - La fine dell’antimafia e il crollo dei suoi miti” (Rubbettino editore).

L’autore di questo importante libro è Francesco Forgione, politico di origine siciliana ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia. Il libro è stato presentato e discusso da Giovanni Tizian, giornalista del Gruppo Espresso, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e dall’onorevole Rosy Bindi, che tuttora presiede la Commissione antimafia. Tizian, nella sua breve introduzione, facendo riferimento alla vicenda giudiziaria in cui è coinvolto il presidente dell’associazione degli industriali siciliani Antonello Montante, ha chiesto all’onorevole Bindi come mai l’antimafia “processa” l’antimafia. La Bindi ha sostenuto che il libro è utile per capire quanto sia importante riflettere sugli strumenti investigativi e penali per arginare e sradicare il fenomeno mafioso. Questa del nostro tempo, per la Bindi, è una mafia diversa da quella che venne annientata con il maxi-processo di trent’anni fa. La mafia di oggi non uccide, è invisibile ma possiede un forte potere di influenza, sicché riesce a instaurare rapporti di connivenza con il mondo delle professioni, delle imprese, della politica. Esiste una antimafia che non può e deve essere identificata soltanto con la pur meritoria e necessaria azione repressiva esercitata dalla magistratura, i cui soggetti sono le associazioni come Libera, e i cittadini, professionisti e imprenditori, liberi e consapevoli del valore della legalità, dei diritti e della democrazia.

Per Orlando per troppo tempo si è voluto coltivare il mito della ortodossia dell’antimafia, ignorando che il pluralismo e la diversità delle posizioni culturali sono un elemento che rafforza l’antimafia. Per il ministro della Giustizia, il merito del libro di Forgione consiste nel sottoporre ad una necessaria analisi critica gli strumenti legislativi e istituzionali predisposti nel tempo per perseguire il fenomeno mafioso. Per il ministro è fondamentale tenere presente che vi è una discrasia tra la mafia, che negli anni ha mutato la sua fisionomia e struttura criminale, e il modo in cui viene percepita e descritta nel nostro tempo. Spesso è accaduto che si siano introdotte normative legislative che avevano un carattere simbolico più che una reale efficacia repressiva e penale. L’autore ha richiamato alcune vicende di cronaca, per dimostrare come per troppo tempo si è assecondata la tendenza a delegare la lotta alla mafia alla magistratura, approfittando della smania di protagonismo di alcuni giudici. L’antimafia, ha acutamente osservato Forgione, deve avere una dimensione sociale, politica e culturale, visto che l’azione repressiva, pur essendo essenziale, non è sufficiente per annientare questo pericoloso fenomeno. La politica deve autoriformarsi e ripensare profondamente le categorie intellettuali con cui leggere ed interpretare il fenomeno mafioso, insidioso per le sorti della democrazia.

Per Forgione l’antimafia è nata storicamente a Portella della Ginestra, quando una parte del popolo siciliano si oppose con coraggio ad un potere oppressivo e soffocante, ostile alla democrazia, al riconoscimento dei diritti dei lavoratori e al rispetto della dignità della persona. Il fatto che nel nostro tempo le forze politiche siano inclini a candidare il personaggio, divenuto una icona dell’antimafia, per ottenere il sostegno di qualche associazione, dimostra in modo evidente che manca nel Meridione una classe dirigente colta e consapevole della gravità del fenomeno mafioso. La politica, secondo Forgione, deve cessare di delegare alla magistratura la lotta alla mafia, e ricostruire la credibilità dell’antimafia, oggi fortemente offuscata. La stessa vicenda di “Mafia Capitale”, tenendo presente il processo in corso di svolgimento, dimostra che l’intreccio perverso tra corruzione, politica e metodo mafioso rischia di soffocare la vita democratica del nostro Paese.

Concludendo il dibattito, Rosy Bindi ha notato che all’origine del fenomeno mafioso vi è la condizione di sottosviluppo e arretratezza del Meridione d’Italia, questione tuttora aperta.


di Giuseppe Talarico