martedì 2 agosto 2016
La storia delle inchieste sulla strage di Bologna è fatta di depistaggi e di segreti di Stato che nessuno ancora vuole togliere. E forse non lo farà mai. Il 2 agosto di ogni anno dal 1980 ad oggi quante volte abbiamo sentito autorità nazionali e cittadine, esimi rappresentanti delle vittime, politici e politicanti riempirsi la bocca di questi concetti. Ma quanta onestà intellettuale c’era in quelle parole? E soprattutto i depistaggi e i segreti di Stato cosa volevano veramente coprire?
Per chi ancora non è annoverabile tra i rassegnati alla retorica nazionale dei cattivi fascisti che vollero senza apparente movente politico uccidere 85 inermi cittadini e ferirne altri duecento, per chi non si rassegna a una sentenza defintiva che consegna al volgo due colpevoli di repertorio come Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, oltre all’epoca minorenne Luigi Ciavardini, tre comodi capri espiatori essendo stati condannati per omicidio e numerosi altri atti terroristici, c’è un libro fondamentale da tenere sul comodino quest’estate: “I Segreti di Bologna – La storia mai raccontata della diplomazia parallela in Italia”. Autori l’avvocato Valerio Cutonilli e l’ex giudice istruttore romano dei tempi degli anni di piombo Rosario Priore. Editore Chiarelettere, cioè quello di riferimento del “Fatto Quotidiano” di Marco Travaglio.
Un libro che è riduttivo definire “scritto bene”. Perché la sua chiarezza è addirittura trasudante. Nessuna ideologia, nessun commento fuori posto, nessuna cazzata ideologica. Semplicemente un’inchiesta e una ricostruzione che si basa anche ma non solo sulle indagini condotte da decine di giudici istruttori che si sono occupati di terrorismo in Italia negli ultimi trent’anni e passa, nonché sui documenti raccolti dalle Commissioni parlamentari di inchiesta, Moro e Stragi prima, e Mitrokhin poi. Con l’assist fondamentale alla tesi sui possibili mandanti della strage fornita da due consulenti di quest’ultima commissione, il giornalista Gian Paolo Pelizzaro e il pm Lorenzo Matassa , gli unici che in quasi 25 anni di indagini si sono dati la fatica di andare a cercare i documenti sui depistaggi del Sismi ai danni dei condannati definitivamente, e molto probabilmente ingiustamente, per questo atto di terrorismo, ossia i su citati tre ex aderenti e fondatori dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar). Nel libro non viene indicato un colpevole certo ma un movente sì: il Lodo Moro, il patto di non belligeranza tra terroristi palestinesi e mediorientali in genere nel nostro Paese, siglato proprio dall’ex statista della Dc nei primi anni Settanta e difeso “usque ad effusionem sanguinis” dal Sid prima e dal Sismi poi. E soprattutto dal colonnello Stefano Giovannone, alias Stefano d’Arabia, colui che per 25 anni e ancora oggi ha salvato l’Italia da atti di terrorismo dell’Olp prima e islamici al giorno d’oggi. Un’Italia che ha dimenticato in fretta le 60 vittime del terrorismo palestinese nei due o tre attentati che ci furono a Fiumicino negli anni Settanta e che ha sacrificato alla ragione di Stato la verità su Ustica e Bologna nascondendosi rispettivamente dietro un cedimento strutturale del Dc-9 Itavia e dietro Mambro e Fioravanti. In fondo sacrificare una compagnia aerea già decotta all’epoca dell’incidente di Ustica e due terroristi già pluri-assassini è stata poca cosa se insieme potevano essere coniugate le ragioni di Stato e quelle ideologiche di una parte delle vittime di Bologna che nella matrice fascista della strage trovavano la propria massima realizzazione.
Il libro di Priore e Cutonilli, che per inciso è da Pulitzer, racconta però quello che all’interno degli inner circle non ristretti del potere sapevano tutti: da Cossiga a Zamberletti, da Andreotti a Lagorio, da Craxi a Santovito. Il ruolo di Carlos e dei suoi accoliti dell’Organizzazione rivoluzionaria internazionale (Ori), del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, matrice all’epoca squisitamente marx- leninista), la storia del trattato segreto tra Italia e Malta siglato dall’allora sottosegretario Giuseppe Zamberletti a La Valletta proprio un’ora prima della deflagrazione di Bologna, l’appoggio italiano, sottobanco, al tentato golpe contro Gheddafi fomentato dall’Egitto di Sadat, i missili Strela-Sam 7 sequestrati all’autonomo Daniele Pifano e destinati ai palestinesi di George Habbash, l’arresto di Abu Anzeh Saleh e la trattativa per farlo rilasciare dai giudici di Chieti e L’Aquila, le continue segnalazioni di possibili attentati terroristici ritorsivi in Italia provenienti dalle fonti di Giovannone in Libano, comprese, ancora prima del sedimentarsi di questo scenario, quelle sull’imminente sequestro Aldo Moro, che come disse giustamente ed efficacemente in Commissione Mitrokhin il deputato di An Enzo Raisi, veniva ucciso con le stesse armi che grazie al suo “Lodo” i palestinesi erano autorizzati ad introdurre in Italia e a distribuire agli amici delle Brigate Rosse...
In questo libro sulla diplomazia segreta dell’Italia degli anni Settanta e Ottanta c’è tutta la storia del doppiogiochismo di un Paese che aveva, come disse una volta il presidente della Commissione Stragi, Giovanni Pellegrino, e doveva tenere insieme “la moglie americana e l’amante libica”. E magari anche “l’amica palestinese”. Certo gli innocenti uccisi a Ustica, in realtà a Ponza, e quelli massacrati a Bologna potranno non essere d’accordo. Ma in fondo i loro familiari si sono accontentati di risarcimenti e di colpevoli di repertorio e alla fine è andata bene così. Oggi l’Italia non viene colpita dall’Isis anche per i goffi depistaggi del 1980 contro i fascisti. E questo scenario di Paese ambiguo, che ormai, volendo andare indietro nel tempo con analogie storiche, dal tradimento della triplice intesa con l’Austria, nel 1914, passando per l’8 settembre 1943, fa di noi italiani dei “traditori di professione”, è il vero sporco segreto di Stato che ci tiene a galla tra le tante superpotenze che insistono sul Mar Mediterraneo. Il nostro destino, il nostro stesso Dna, era quello. Ce lo siamo meritato e di esso dobbiamo accontentarci. Ora consoliamoci con la retorica ipocrita delle commemorazioni del 2 agosto. È il nostro “aglietto”.
di Dimitri Buffa