Sabina Guzzanti: satira “futuristica” a Roma

giovedì 14 luglio 2016


Dal futuro, Sabina Guzzanti analizza il cinquantennio 1990-2041. Succede in “Come ne venimmo fuori”, il suo nuovo spettacolo satirico - comprendente anche le note imitazioni di personaggi politici - in tour da qualche mese, e di passaggio a Roma oggi ad “Eclettica Festival”. Ne parliamo con l’autrice/attrice.

Qual è stata la spinta all’origine del progetto?

Alcune letture, come il libro “La nuova ragione del mondo” di Pierre Dardot e Christian Laval; mi ha molto colpita, e dato ispirazione su contenuti che abbiamo tutti in mente un po’ vagamente, ma che lì sono espressi molto bene dal punto di vista filosofico, storico, esistenziale. Il tema è il neoliberismo, come si traduce nella vita quotidiana, lo spettacolo è fatto di osservazioni umoristiche sulle relazioni umane, di lavoro, con una visione storica dal Seicento ad oggi.

Altro testo di riferimento dichiarato è stato “Shock economy” di Naomi Klein.

Lo avevo letto da un bel po’, però sicuramente anche quello è un saggio fondamentale, un’analisi molto documentata per spiegare che questo è un sistema politico ed economico affermatosi ovunque grazie a violenza, propaganda, ricatto, mentre invece viene spacciato per quanto di più democratico si possa concepire.

Anche stavolta, per realizzare un suo lavoro, si è servita dell’autoproduzione e del web. Che ne pensa di questi mezzi?

Ho vissuto per tanto tempo considerata come una specie di nemico pubblico, bandita da tutte le televisioni, quindi uso il web semplicemente perché non posso fare altro, non è che ne sia una fanatica. È uno strumento potenzialmente ottimo, come anche la tivù, poi dipende sempre da quello che ci si fa. Lo spettacolo prende parecchio in giro i luoghi comuni sui social network, che in alcune circostanze sono sicuramente utili e importanti, ma non è che siano la soluzione.

Nello spettacolo, lei sostiene che ci impongono l’ideologia neoliberista come una realtà senza alternative, e il cambiamento come impossibile.

Lo spettacolo non è un trattato, fa ridere, però ci sono dei concetti base stimolanti anche secondo il pubblico, visto che ormai è qualche mese che siamo in tour. Ci dicono che le ideologie sono morte, quando in realtà il neoliberismo è un’ideologia, per esempio in quanto ad invasività nella libertà personale: le dittature riducono le libertà di scrittura, incontro, espressione, ma il neoliberismo è fatto proprio per entrare nel cervello della gente, crea una nuova forma di essere umano a cui il senso critico viene disattivato quasi dalla nascita.

Un’altra considerazione portante è che questo sia un Paese permeato dalla cultura mafiosa di familismo, omertà, sessismo.

Riguarda tutti, sono considerati concetti ovvi dall’80 per cento della popolazione: “Non sputare nel piatto dove mangi”. Si fanno favori, si vive sempre come in un clan, è la cosa più normale ed effettivamente anche una difesa cui spesso siamo costretti per sfuggire alla burocrazia e altre follie: molti di noi, che abbiamo la possibilità di farlo, quando ci tocca una visita medica siamo costretti a percorrere strade diverse, perché quella ufficiale è impraticabile. È una volontà politica il far sì che le persone non possano essere indipendenti e invece debbano continuamente compromettersi con sistemi che non hanno a che fare col diritto, ma con la legge del più forte, del prepotente e delle conoscenze.

SabnaQƒ2, la sua protagonista, ci parla dal domani, prendendo in esame i cinquant’anni che partono dal 1990. Cosa rappresenta quella data?

La caduta del Muro di Berlino, quella specie di trauma che all’inizio è stata una splendida notizia; eravamo tutti commossi, sono anche andata a manifestare lì, sembrava un’utopia e poi quando è finalmente successo siamo stati felicissimi. Dopo, però, mi ricordo perfettamente che mi impressionò il fatto che noi - come cittadini - la vivessimo in un modo, e invece venisse immediatamente raccontata in un altro: la fine della possibilità di pensarla diversamente. L’unica cosa che esiste è l’economia di mercato, la competizione, e chiunque non è d’accordo viene considerato come le macerie di quel muro; si tratta di una manipolazione disonesta di quanto accaduto, non è che l’esperienza sovietica racchiudesse tutte le possibilità, quanto c’è di positivo nel pensiero umano.

Rispetto a quel/questo periodo, lei denuncia una generale indifferenza, pigrizia, superficialità, rivendicando invece l’uso del pensiero, la necessità di capire, la capacità critica.

Sono tutti concetti che - quando li esprimi - ognuno li capisce a modo suo, però non ci piove. Non è che questo comporti diffidenza a trecentosessanta gradi, complottismo o altro: la questione è l’autonomia di pensiero, che è scomparsa anche nelle piccole cose. Ad esempio, sono pochissime le persone che hanno il coraggio di dire davvero cosa pensano di un film che hanno appena visto, tanta è la pressione - conclude Guzzanti - rispetto all’essere come gli altri, al far parte del gruppo di quelli che ce la possono fare.


di Federico Raponi