giovedì 9 giugno 2016
La notizia della sua scomparsa, d’un tratto, ha resettato i format cancellandone la politica di oggi, piccola e meschina, il nostro semestre elettorale e quello americano, comunali e primarie.
Era un grande, lo scomparso Muhammad Alì. È un grande, Cassius Marcellus Clay Jr., che ha abbandonato la terra per boxare più in alto. In ginocchio, i media cercano di far coesistere il gigante bello del Kentucky con il resto del panorama insignificante, ricorrendo alla caciara di storia e aneddoti, cronaca e valori. È impossibile però. Quella di Cassius è una storia mai vista, Un boxeur bello, ballerino, elegante; mix della versione maschile di Naomi Campbell e Josephine Baker. Una cosa impossibile sulla Terra. Non si creda ai racconti edulcorati sui neri presidenti, corridori, maggiordomi, cowboys e soldati. Nel passato pre- Jackson, i neri non erano i bianchi di colore made in Usa cui siamo abituati. Non erano belli, né eleganti, né protagonisti. C’era solo Cassius Clay, l’eccezione.
Nessun pugile peso massimo, tantomeno nero, era così, un angelo tra gli animali; un retore, un comiziante, un rapper fuori e dentro il ring. Non si era mai visto un angelo pestare a sangue le bestie bianche e nere; né sentire un angelo distruggere con le parole il circo mediatico indifeso davanti a “la bocca”. Non si era ancora visto un dio viziato e narcisista vincere le Olimpiadi tra le statue dei colleghi latini; poi il mondiale per buttare tutto alle ortiche solo per sfidare il sistema Usa ed il suo simbolo: la guerra del Vietnam.
Non fu l’unico contestatore negli anni Sessanta né dello sport né dello show business; nemmeno l’unico a cambiare nome, nell’aderire alla Nation of Islam di Malcom X, divenendo Muhammad Alì. Cassius fu però il simbolo migliore della bellezza e della vittoria di una causa profondamente secessionista e discriminante, proto-leghista che rivendicava (e rivendica) l’indipendenza di uno Stato nordamericano solo di nere e neri, diviso fisicamente dagli Usa dei melting pot. Fu il simbolo della crociata dell’Islam e del mito dell’Africa che mai rinnegò, nemmeno di fronte alla realtà.
Buttò letteralmente al fiume le medaglie e gliele restituirono; si fece assolvere dagli stessi tribunali che l’avevano condannato; giocò con i primati facendoseli togliere per riprenderseli quando non era più giovane e ancora di nuovo quand’era sportivamente vecchio. Incontrò, da amico, tutti i nemici degli Usa. Unico boxeur dal naso piccolo, dritto e grazioso per tutta la vita prese per il naso gli uomini della nazione più favorita. Ammirata e intimorita, l’America lo applaudì. Dio anticapitalista, eppure ricco di 60 milioni di dollari; mai visti da tutti i pugili privi dei suoi discorsi rap ante litteram; islamico e sufista, molto prima delle primavere arabo-siriane, era un miracolo vivente, un dio nero contrario ai bianchi, agli zii Tom ed agli Obama. Cassius Clay non ci ha lasciati migliori. Queste cose agli dei non interessano. Ci ha lasciati perché non ci voleva più ed a milioni, increduli della sua morte, si chiedono quale e dove sia l'Olimpo dove si è diretto. Nero e segregazionista, ovviamente, white off limits.
di Giuseppe Mele