Geodetiche di Breccia

mercoledì 27 aprile 2016


La pittura di Pier Augusto Breccia sarebbe piaciuta molto ad Albert Einstein. E ad Hermann Minkowski soprattutto, il pensatore matematico delle geometrie non euclidee e degli spazi curvi della gravitazione universale.

Quella di Breccia è una fantastica pittura dell’Onda con in primissimo piano figure antropomorfe rigorosamente davinciane nei loro nudi essenziali, scultorei, che non mostrano mai il loro volto e che scorrono come tante palle di biliardo lungo le vertigini curvilinee, esaltate da disegni a scacchi e dalle deformazioni della prospettiva sferica che diventa dogma, motivo conduttore, stile di vita. Tutto lo spazio attorno a cose e idee della vita è volumetricamente “toroideo” (dal “toro”, volume a forma di tubo), come code di serpente che avviluppano simboli plastici di città e di paesaggio urbano, lasciando intravedere meravigliose costruzioni geometriche in legno, identiche ai conci modulari a tre dimensioni di giochi per bambini, in cui colori caldissimi di un pastello chiaro e sorprendentemente luminoso affiorano in conglomerati compositivi ora attraverso finestre curvilinee disegnate dall’intreccio dell’onda, ora direttamente trasportate dal nastro torico delle correnti ascensionali.

Figure antropomorfe di un bianco marmoreo (“Onda Lunga”) letteralmente traforano le volute, emergendo dalle spesse spire come in un gioco di fotogrammi successivi, per librarsi nel passo finale verso un nero, purissimo spazio sidereo che si apre al centro del vortice, per liberare definitivamente l’idea dell’uomo dalla sua prigione gravitazionale. Ne “Il Sacello dell’Io” il simbolismo imposto da Breccia espelle ogni antropomorfismo dalla composizione, per catturare al centro di una grande trottola - posizionandolo all’interno di una profonda nicchia centrale scavata nel volume vivo e protetta da una grata esterna - il mondo intero, la palla Terra con cui giocano i suoi manichini, per denunciare tutti i limiti della presunzione umana che intende porsi al centro di una costruzione dell’Universo da cui, in realtà, l’umano viene trasceso a causa della incommensurabilità di ciò che lo circonda! Ne “Il viaggio di Einstein” la presa di posizione è ancora più netta: la figura pilota, isolata come quella del capitano di “Odissea nello spazio”, dà le spalle al centro dell’universo, viaggiando lungo le linee curvilinee del cosmo stringendo con la mano sinistra una valigetta contenente gli scarsi strumenti conoscitivi che possediamo, nella speranza di decifrare i segni misteriosi che maiolicano le spire dello spazio curvilineo.

Nei quadri “L’interminabile caduta dell’essere” e “La Baia dell’innocenza” il discorso escatologico e filosofico si fa potente, con grandi rappresentazioni geometriche, dove il saggio con il suo passo da equilibrista si muove al di sopra del mondo lungo una trave rotonda, impugnando un bilanciere dove sul piatto di destra vi sono le cose naturali e sull’altro quelle della costruzione umana e della sua presenza sulla Terra sancita dai volumi regolari, squadrati o sferici, che vanno a comporre il suo habitat artificiale, fatto di dimore, dei luoghi del potere e delle credenze religiose, ognuno con i suoi volumi identificativi. Nella “Caduta dell’essere” una spettacolare prospettiva a tre punti di fuga disegna uno spazio urbano visto dall’alto, dove al centro della grande piazza si apre un black-hole stellato verso il quale scivola un Icaro marmoreo con le sue ampie ali d’oro venate come le foglie di quercia, simbolo astratto per narrare la morte delle certezze nell’umano agire.

Spettacolarmente evocativo è il dipinto relativo al “Funerale immaginario dell’artista” in cui la Città-Lego con i suoi volumi massivi è attraversata da un nastro che scorre verso l’alto e sovrasta l’intero impianto, sul quale scorre un corteo simbolico di pezzi da scacchiera e figure bianche dechirichiane guidate dal fantasma dell’artista (le cui spoglie mortali sono adagiate su di una barella), che fa da maestro di cerimonie dall’alto di una balaustra forata. E poi, in alto, i divini assistenti: gli angeli-Icaro dalla testa di vespa o dalla chioma arricciata come teste di moro bianche argento. Una pittura magica, non c’è che dire, in mostra alla Galleria Angelica di Roma fino al 29 aprile. Titolo “Fuori onda”: come tutta l’Umanità, in questo momento!


di Maurizio Bonanni