Eros Pagni all’Eliseo in “China doll”

venerdì 22 aprile 2016


Sapete tutti che cosa sia una “Bambola cinese” (China doll)? E sapreste anche collocarla correttamente tra i “Pupi” del potere? Lo spettacolo omonimo di David Mamet va in scena all’Eliseo fino al 24 aprile, per la regia di Alessandro D’Alatri con Eros Pagni nel ruolo del protagonista, Mickey Ross. La scenografia ci mostra da subito quella che ci immaginiamo sia una stanza del potere: luci soffuse; una sobria scrivania di mogano; quadri d’autore e un divano per accogliere gli ospiti. Al centro della scena come ci mostra l’entrata con passo fermo c’è “Lui”, il capitalista, l’uomo d’affari con le mani in pasta nella politica che conta, a sua volta allievo di un politico di lungo corso: il padre dell’attuale Governatore dello Stato di New York (NY), che Ross detesta visceralmente. Qui anziché il “libro”, galeotto risulta un moderno jet privato, opzionato dal protagonista per ottanta milioni di dollari, atterrato per una falsa emergenza a Toronto. Sull’aereo viaggiava l’amante di Ross, una bellissima straniera costretta a dare un nome falso per registrarsi in un hotel cittadino di lusso.

Il velivolo inanimato si rivela, in realtà, un alieno: la compagnia che l’ha venduto al magnate ha commesso l’errore di assegnargli un codice di coda (i.e. di registrazione) americano, invece di mantenere quello svizzero. In violazione alle leggi locali, per cui uno dei due titolari, Ross o il costruttore, dovranno pagare all’erario di NY una multa di cinque milioni di dollari. Non una gran cifra, quindi, per uno come Ross. Sennonché, si tratta di una trappola ben congegnata dal Governatore (e dal capo della polizia) per vendicarsi del mancato sostegno e dell’ennesimo rifiuto di Mickey a sostenere finanziariamente la campagna elettorale dell’uomo politico, che intende presentarsi alle presidenziali. Ross intuisce l’inganno e cerca di ricattare i suoi avversari attraverso un carteggio riservato che avrebbe dovuto essere distrutto, ma che lui aveva conservato prudentemente perché, in fondo, non si sa mai. Accanto al magnate, una figura di segretario-pungiball, Carson: nato per scaricare i colpi e la furia caratteriale di Ross che, però, sa anche scusarsi e apprezzare le doti del suo collaboratore al momento opportuno. E sarà lui a incarnare l’onestà che non transige, rinunciando alla ricchezza perché avrebbe significato un suo coinvolgimento penale nelle losche vicende del datore di lavoro.

L’intera narrazione scorre come un torrente in piena sul ruolo monologante di Pagni, costantemente al telefono con i suoi principali interlocutori: l’amante; l’avvocato; il capo della polizia; il responsabile della transazione per l’acquisto dell’aereo. Chi osserva e segue quei dialoghi è costretto a intuire, a divinare i volti, le espressioni e le intenzioni di chi risponde dall’altra parte della cornetta senza fili. E la bobina della trama incontra costantemente dei nodi che ne interrompono la filatura, smagliano l’insieme e, poi, lo ricompongono mentalmente per capire chi sia, in realtà, il peggior delinquente tra i presenti e gli assenti.

Il dramma (oltre alla prevedibile sorte di Carson) riguarda il “merdaio” della politica, in cui “Il Pretesto”, lo slogan a effetto sono esattamente tutto quello che occorre per abbindolare l’elettore, che crede di decidere mentre non conta un bel nulla, in buona sostanza, in quanto sono le lobby, le congreghe più o meno segrete e occulte a fare la storia reale del Nuovo Continente. E che cosa sembra dirci di così sferzante e urticante Mamet? Che non c’è differenza tra i grandi boss della mafia e quelli che fanno e disfano la sorte dei politici di front-line, teste di legno di un potere reale invisibile e profondamente corrotto. Ross sceglierà di smettere di combattere e di fuggire con la sua amata, anche a costo di uccidere. Spettacolo per cuori forti. Decisamente.


di Maurizio Bonanni