La trilogia di Celestini al Teatro Vittoria

giovedì 21 aprile 2016


Una trilogia a ritroso, dall’umanità emarginata - in cui può accendersi un barlume di dignità collettiva (“Laika”) - tornando poi a un’endemica attitudine generalizzata alla sottomissione (“Discorsi alla Nazione”) in cui si risprofonda anche dopo tragedie storiche (“Radio clandestina”) superate persino con un impeto di riscatto. Una settimana ciascuno, Ascanio Celestini porta in scena tre dei suoi spettacoli più importanti al Teatro Vittoria, fino all’8 maggio. Si inizia con l’ultimo realizzato, “Laika”, che a Roma era stato solo nei sei giorni del debutto, lo scorso novembre.

“Sono partito - ricorda l’autore/attore - da tante storie diverse, poi ho incontrato alcuni facchini africani dei grandi magazzini e ho raccolto i loro racconti, quelli di un’umanità schiavizzata che però aveva dentro una forza notevole. Attraverso l’improvvisazione, da questi pezzi ho costruito i personaggi, e le loro vicende si sono incontrate attorno ad un parcheggio di un supermercato dove alcuni di essi lavoravano”.

Protagonista è ancora quel vario universo degli ultimi, degli esclusi, su cui da sempre si focalizza l’attenzione di Celestini.

“Un pezzo forte della società - questo il suo pensiero - esprime violenza nei confronti di un altro, numericamente più consistente ma anche più debole. Questa parte isolata, alla quale viene tolto molto e chiesto moltissimo, esprime però una sua vitalità, persino una certa gioia. Normalmente rivolgiamo attenzione nei confronti di tale realtà solamente quando accade qualcosa di tremendo: abbiamo gli operai quando ne muore uno, la periferia quando c’è una tragedia, gli immigrati quando affogano. Invece, rispetto al loro quotidiano, queste persone sono fantasmi, ma perché non li vediamo noi, e non per forza le periferie devono essere sempre violenza, droga, ‘Mafia Capitale’”.

La settimana successiva si passa a “Discorsi alla Nazione” (che cronologicamente è nato invece prima), localizzato nel condominio di un Paese abbandonato alla guerra civile, in cui piove sempre.

“Al contrario di ‘Laika’, qui - prosegue l’artista - cerco di raccontare la violenza che viene fatta subìre. Trovarsi una vittima, trasforma una vittima in un carnefice, il fatto di avere a disposizione qualcuno da sottomettere gli rende la vita più vivibile. Il carnefice principale è il dittatore, che non ha neanche bisogno di chiedere il consenso, se lo prende e prende anche in giro il popolo facendogli credere di essere, tutto sommato, comprensivo. L’unico linguaggio delle istituzioni è quello populista, che capiscono tutti, nel rivolgersi ad un possibile elettorato un partito mette a disposizione un prodotto che deve piacere a tutti, così lo compreranno in molti. Lo spettacolo vede la gerarchia, nella quale siamo infilati, dalla parte dei suoi vari vertici temporanei”.

La prima settimana di maggio è infine la volta di “Radio clandestina”, lavoro del 2000 basato sul libro “L’ordine è già stato eseguito” di Alessandro Portelli, una ricerca dedicata a Roma nel Ventennio fascista, ma soprattutto all’azione partigiana di via Rasella e all’eccidio perpetrato dai nazisti alle Fosse Ardeatine. Incentrata sulla memoria orale, l’opera di Portelli ha anche segnato in modo determinante un altro approccio alla Storia.

“Dimostra in maniera chiara e semplice - sostiene Celestini - che l’oralità non è ‘una’ storia, ma mette insieme tante storie, anche in contraddizione l’una con l’altra”.

La genesi del testo teatrale si deve pure ad un altro contributo, e rappresenta una tappa decisiva nel percorso dell’artista.

“Avevo partecipato ad un concorso indetto dal Teatro di Roma, l’allora direttore Mario Martone mi chiese se avevo letto il libro di Portelli e lì ci venne l’idea di lavorarci. Inizialmente doveva essere uno studio che apriva a laboratori da tenere nelle scuole, poi debuttò al Museo della Liberazione di via Tasso ed è stato lo spettacolo con cui, nei primi tempi, ho girato di più. Dopo una decina d’anni l’avevo accantonato, però per me - conclude Celestini - è stato un po’ un punto di svolta, da racconti quasi esclusivamente fiabeschi sono passato ad uno in cui invece entra in maniera più diretta la Storia”.


di Federico Raponi