Paraninfo da applausi

giovedì 14 gennaio 2016


Quale è l’equivalente maschile della “Mezzana”? Di colei, cioè, che fa da mediatrice nei rapporti amorosi per combinare matrimoni? Il corrispondente cercato è “Paraninfo”. Come Don Pasquale, il protagonista della commedia brillante omonima di fine Ottocento, che va in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 17 gennaio, per la regia di Antonello Capodici e l’affascinante recitazione corale in dialetto siciliano della compagnia teatrale di Enrico Guarneri. Diciamo subito che lo spettacolo è davvero delizioso, armato con una sapienza teatrale e rivestito di una scenografia semplice a ariosa che dà gusto e piacere allo svolgimento delle azioni, più simili in senso lato al Teatro dei Pupi che a quello impegnato del più grande maestro del teatro italiano (e siciliano) di tutti i tempi: Pirandello.

Ecco, la cosa interessante mi sembrerebbe quella di confrontare due discorsi e due concezioni del teatro in assoluto “complementari” tra di loro, senza mai che l’una svilisca l’altra, come le due facce di una medaglia che, solo stando assieme, danno un valore compiuto alla moneta che rappresentano. Popolare, quella dell’autore catanese del Paraninfo, Luigi Capuana. Raffinata, sofisticata culturalmente profonda, invece, quella dell’agrigentino Pirandello (Lavia paragona a Shakespeare i suoi testi e io direi che abbia ben ragione!), dove le parole sono lame di coltello, come quelle del Macbeth, che penetrano brutalmente e impietosamente nel corpo dei sentimenti, da quelli più nobili a quelli maggiormente detestabili ed esecrabili.

Invece, il verismo poetico di Capuana si pone come regola fondamentale quella di ritrarre direttamente dal vero, assumendo dalla vita contemporanea la materia narrativa, per trattare fatti realmente accaduti, senza limitarsi a ritrarli dall’esterno, ma ricostruendo la storia autentica dei personaggi, in modo da cogliere e rivelare tutto il processo mediante il quale il fatto si era prodotto. Eppure, com’è evidente, per entrambi (Capuana e Pirandello si conobbero e si stimarono, tra l’altro, all’interno di una esperienza ministeriale comune!), la materia umana siciliana quella era e restava! Così i vizi e le virtù dei ceti emergenti e tradizionali dell’isola trovano la loro comune elaborazione e trattazione: il borghese, l’intellettuale (spesso spocchioso e utilizzato come decorativa appendice salottiera), il militare, il possidente agrario, gli sfaccendati, i sensali e le mezzane, ecc.. Tutto ciò è chiaramente delineato nelle figure spesso caricaturali dei personaggi del Paraninfo.

Le spumeggianti ondate di buon umore derivano proprio dai loro difetti, dall’ipocrisia e dalla grettezza che un magistrale Guarneri sa amministrare con cura, senza mai trascendere nella minima volgarità, adattandosi come Gilberto Govi alle pieghe più intime dei co-protagonisti che lo circondano, come il professore in pensione che tenta di correggerne gli strafalcioni in lingua italiana, traducendo per il pubblico e per il tenente piemontese quel linguaggio italo-siculo, che è un’occasione d’oro per Guarneri di esibirsi in tali e tante piroette linguistiche, che sono poi il sale della vittoria della semplicità sull’affettazione e sui modi perbenisti di un conformismo duramente censurato dall’autore, anche se immerso in un capiente e diluente bacino di sana ironia.

Ovviamente, il fulcro ruota sul tentativo, che appare davvero sovrumano, di far maritare a un presuntuoso, sussiegoso tenente e al saccente, stagionato professore due anziane zitelle molto ricche e decisamente avare, sia sentimentalmente che materialmente. Davvero esilaranti le due bravi attrici che fanno l’impossibile per mettere in risalto quanto più possibile il lato laido delle loro due figure, vestite di nero e ipocritamente dedite alle opere di bene, quando sotto le loro ampie gonne preme un desiderio insaziabile di chi non è stato mai posseduto o sfiorato dalla mano provocatrice e stimolante di un maschio vero, oltre a quelli immaginari che le due donne dicono al paraninfo di aver avuto come platonici corteggiatori. Esilarante è anche l’episodio (forse un po’ troppo iterativo) dei due padrini, inviati dal tenente, che aveva sfidato a duello il povero Don Pasquale, reo di averne offeso il buon gusto solo al pensiero di osare vederlo maritato alla più giovane e corpulenta delle due sorelle.

C’è, tra l’altro, un inspiegabile salto logico nella scena finale, per cui si passa dalla comica del duello alla improvvisa rappacificazione, con le due zitelle che finalmente hanno dismesso i loro abiti neri presentandosi in lussuosi costumi di sartoria dell’epoca, per sposare rispettivamente professore e tenente, proprio secondo il piano preordinato del paraninfo. Comunque, uno spettacolo di pura vis comica e di piena godibilità. Da non perdere.


di Maurizio Bonanni