Se “I Personaggi”...

venerdì 8 gennaio 2016


Un “capolavoro” all’Eliseo di Roma. Gabriele Lavia recita e dirige “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello (fino al 24 gennaio). Regista unico del Teatro nel Teatro: Her Majesty “Il Dramma”. Il testo è uno spartito musicale, che sfugge al suo autore come la musica al suo compositore. Perché strumenti e personaggi si... auto-interpretano! Illimitate variazioni per i primi; infiniti toni cromatici per i secondi.

Tutto, però è energia. È l’arco invisibile che scaglia tutt’intorno la figliastra come una freccia impazzita lasciando che, come farebbe una particella, urti tutte le pareti compresa la quarta che la vede sfrecciare tra le sedute della platea. Il gruppo numeroso di attori e personaggi è un flusso continuo di energia e il sistema scenico è misurabile da operatori quantistici fondamentali, come quelli presenti nell’equazione di Shroedinger. Con così tante particole in gioco, ci dice il maestro della fisica moderna (come Pirandello lo è per il teatro moderno), l’apprezzamento del risultato non può che essere di tipo... “statistico”!

Solo chi ha il dono della scrittura riesce a capire la forza trainante “autonoma” dei personaggi che, a un certo punto, si disegnano da sé, come le loro correlazioni che costruiscono nello spazio-tempo con tutti gli altri. È una funzione d’onda, il personaggio: vive al di fuori del suo creatore; non è collocabile in nessun punto o posizione precisa. È “flou”. Appena descritto è come partorito. Diventa adulto da sé. Non si fa approssimare da nessun attore, per quanto bravo esso sia. Perché l’attore è un... umano: ha la sua vita normale, fuori del palcoscenico. Il personaggio no. Lui fa parte dell’equazione quantistica. Una volta descritto il suo stato, egli non può che riproporlo infinite volte, per innumerevoli iterazioni dello svolgimento dello spartito del dramma. Lui è “cosa” e non soggetto. Ha un suo reticolo cristallino ben ordinato. Che non può essere vestito dal alcuna altra forma che non sia la sua. La maestria di Lavia è quella di far muovere i suoi attori come correnti di un mulinello, che ruota con lentezza esasperata, lungo traiettorie concentriche, quelle sue particelle umane perché lo sguardo dell’osservatore scenda giù, sempre più giù, dove la realtà si fa mistero, e le parole del Primo Flauto, di lui, del padre, cioè, sono quelle del Virgilio che accompagna lo spettatore nel viaggio verso l’inconscio. Quelle sue mestizie, ora fraseggiate, ora urlate, verso la tromba-regista, o verso gli archi di prima fila, sono come aghi sottili, che pungono e confondono la Mente, invitata a fare realtà dell’irrealtà. Perché il dramma è sinfonia. Perché gli strumenti, come i personaggi, hanno un loro ordine all’interno dell’universo chiuso dello spartito e del testo teatrale. E non ammettono nessun suggeritore esterno, impersonale. Ma proprio per questo, le loro fluttuazioni (parole e musica) sono imprevedibili. Le sfumature sono sostanza. Le variazioni costituiscono il tutto.

Il personaggio “è” le sue parole. Come lo strumento “è” la sua musica che libera vibrando. Il suono e le parole sono energia, infatti. Comprimono l’aria e le sue particelle, dando loro voce. Hanno una veste immateriale. E quest’ultima la vedi e la afferri solo e soltanto se a tradurla sono le emozioni. Ma, per questo, la funzione d’onda deve essere costruita a dovere. Deve poter dare un certo risultato (statistico) sperato, una volta misurata dallo spettatore. I sei personaggi estratti dal genio pirandelliano, e vivificati da quello scenico di Lavia, questo lo sanno ben fare. Vi sconvolgono con la loro mutacità (l’adolescente e la bambina che lasciano la vita in circostanze assolutamente drammatiche). Vi affascinano con i loro fermi-immagine, che vede gli attori cristallizzarsi come sculture di gruppo inanimate.

Ecco: Pirandello arriva all’atto sublime dell’arte sua di disegnare per noi un concetto assai sofisticato di Teatro nel Teatro (o Teatro di Complessità Due, come i programmi che creano altri programmi). Ma, non crediate: noi, ogni giorno, siamo quell’autore. Perché non abbiamo un solo volto, ma mille, e tutti diversi tra di loro! Spettacolo per veri intenditori. Ma, dagli applausi veri, non ragionati, tutti hanno ricevuto il dono l’emozione. Questo il compito sublime del Teatro. Assolto. Bravissimo, caro Gabriele! Complimenti a tutta la compagnia! Da non perdere, ovviamente!


di Maurizio Bonanni