Arrivederci Mr. Green!

venerdì 20 novembre 2015


Quando si dice “Evergreen”! Ad essere sempreverde, per la verità, è quel Teatro della vita che si fa rappresentazione per far rivivere con ben altra intensità il vissuto di uno solo o di molti di noi “Mr. Green” di Jeff Baron, in scena al teatro “La Cometa” di Roma fino al 29 novembre per la regia di Piergiorgio Piccoli, racconta di un mondo interiore tormentato e segreto di esistenze simmetriche, divise da un consistente spazio temporale intergenerazionale. In entrambi i casi, tuttavia, la risultante esistenziale si muove alla disperata ricerca del filo di Arianna, per provare ad avere ragione delle stanze intrecciate di un labirinto in cui si entra muovendo un solo passo e, a volte, non ne bastano milioni per ritrovare l’uscita e la luce.

Così due uomini, il Giovane (Ross Gardiner, funzionario dell’American Express, energicamente interpretato da Maximilian Nisi) e il vecchio Mr. Green - uno splendente Massimo De Francovich - si incontrano nel piccolo appartamento newyorkese senza ascensore di quest’ultimo. E non perché i due siano amici o, quanto meno, conoscenti. Ben al contrario: l’uno è “l’investitore” dell’altro, l’anziano, che tentava il solito attraversamento temerario nel traffico di punta. Un giudice illuminato li ha obbligati a incontrarsi, commutando la pena detentiva di Ross per guida pericolosa in un analogo periodo di affidamento ai servizi sociali. Così, al giovane investitore è stato fatto obbligo di prendersi cura dell’anziana vittima, mettendosi a sua completa disposizione (per sbrigare le faccende di casa e per fare la spesa) una volta alla settimana: il giovedì, per l’esattezza.

Così l’unico ambiente di scena (un vecchio salotto con un divano al centro e un tavolino da pranzo sul lato sinistro, ingombro di scatole e incarti vuoti per alimenti) si illumina e si scurisce al ritmo dell’inizio e della fine delle visite del giovane Ross. L’iniziale duello tra i due - che si rifiutano platealmente a vicenda - si stempera, con il passare delle settimane, dapprima in una comunicazione sincopata fatta di rare parole e di rassegnati gesti di insofferenza, finché questi ultimi si demoltiplicano nel tempo e le frasi assumono dignità di discorso, fino a scomporsi e ricomporsi in un tessuto narrativo più complesso, a beneficio di un più chiaro racconto di due storie tormentate.

Nella prima, quella di Mr. Green, più urlata che spiegata, a causa di un’apparente demenza transitoria, le visioni della moglie scomparsa si sommano a monosillabi che fanno trasparire una verità denegata: il ripudio di una figlia pur amatissima, ritenuta empia per aver voluto sposare un marito di un’altra fede religiosa. Peccato imperdonabile, per ebrei integralisti come Green e sua moglie. Ma anche Ross deve curare e confessare le spine avvelenate di rapporti familiari e sentimentali terribilmente conflittuali, che troveranno vero e sostanziale conforto nell’abbraccio finale dell’anziano padre smarrito che, grazie ai tormenti di Ross, ritrova la pietas del perdono e della riconciliazione con il suo Se e con la sua storia di ebreo russo perseguitato, divenuto a sua volta intollerante della diversità altrui. 

Il finale è bello e struggente, come è giusto che sia, alla fine di tanto tormento. Spettacolo raffinato, colto e delicato. Assolutamente da non perdere!


di Maurizio Bonanni