La Maxxi Barka

martedì 3 novembre 2015


La Barka è l’opera che, dall’ottobrina XI giornata d’arte contemporanea fino a gennaio, caratterizzerà il museo romano Maxxi. Un barcone stile Malavoglia, posto in mezzo alla hall di accesso alle sale, fatto di centinaia di scarpe incollate. Sandali, scarpe sportive, ciabatte da mare, pochi scarponi balcanici, moltissimi colori plastici accesi, stivaletti accatastati, incollati e sovrapposti, sulla forma della barca, dalla mano di Sislej Xhafa, kossovaro di New York.

Evidentemente riferita alle emergenze immigratorie, l’opera venne pensata ai tempi dell’esodo africano del 2011 a Lampedusa; promossa dalla solita Galleria Continua di San Gimignano ed ora concessa in comodato dalla Nomas Foundation, alias i romanissimi fratelli Sciarretta. Nomas è un logo omaggio al berberismo nomade sahariano, anche se il business dei fratelli, tra un’esposizione, una ristrutturazione e l’altra, poggia sul wellness di trattamenti e massaggi orientali della società Kami, ambient scintoista alle spalle di Piazza Barberini. A nessuno comunque guasta il mercato captive offerto dal Maxxi, rinato a fondazione di ricerca per giustificare lo stipendio della presidente Melandri, finora protetta dal ministro Franceschini dai risvolti della vicinanza all’arrestato Odevaine. Nel decentrato spazio museale, ogni cosa, dalla progettazione dell’irachena Zaha Hadid all’onnipresente Anish Kapoor, dal kossovaro ai tanti anonimi cinesi, ricorda quanto oggi l’arte contemporanea si identifichi nel nuovo terzomondismo chic. Come a casa della bionda presidentessa ed ex ministra e deputata, la cui sorella Elisabetta presiede la onlus Cies che in trent’anni si è fatta anche un suo Centro archivistico immigratorio dietro il Colosseo.

Le scarpe, però, sono un’entrata fallosa in area di rigore per l’arte calzaturiera, eccellenza italiana esportata in tutto il mondo da emigrati (nostri) come il siciliano Ferragamo. In Italia per prima cosa si guardano le scarpe, e due mocassini in morbida pelle giustificano qualunque look trasandato. E proprio le scarpe, troppo belle, spesso hanno fatto dubitare dello stato di bisogno degli immigrati sbarcati in nome della disperazione. A ben guardarla, la Barka ha qualcosa di familiare. Ricorda i tanti oggetti rastrellati dai cassonetti dall’esercito nomade romano intento al suo riciclo della rottamazione altrui. A migliaia cercano scarpe tra l’immondizia ed a quanto pare le trovano, a parte ovviamente i tacchi a spillo, di cui i trans fanno incetta. In effetti l’unica scarpa mancante nella Barka è proprio il tacco 12.

Evocatrice di mondi lontani, l’opera si rivela come cosa locale, anima del Terzo Mondo da sempre presente dei rovistatori, rottamatori, rivenditori del mondo Casamonica. Avevano bisogno di alias per poter presentare un’attività più che artistica, da fiera commerciale. In omaggio alla “Barkamonica”, l’Enel, ultimamente sempre in soccorso governativo, è entrata nella Fondazione Maxxi destinandole 1,8 milioni di euro in tre anni, forse anche grazie al nuovo metodo di riscossione del Canone Rai. E magari per sostituirsi, in caso di diluvio epocale, alle ultime esodate ed emigrate della politica. Che hanno pronta la scialuppa dove imbarcarsi.

 


di Giuseppe Mele