I campioni dello sport, gli eroi italoamericani

sabato 24 ottobre 2015


Lo sport è un argomento molto importante nel nostro viaggio intorno agli Stati Uniti alla ricerca di come, quando e dove gli italiani hanno lasciato un contributo positivo alla crescita della società americana. I campioni dello sport sono spesso veri eroi, specialmente negli Stati Uniti: e alcuni di quegli eroi sono italoamericani, e hanno ispirato un forte e giustificato senso di orgoglio per quei connazionali che non ottenevano nella vita quotidiana la stessa considerazione positiva. Il professor Gerald R. Gems ha scritto un libro molto interessante su questo argomento: “Sport and the shaping of the Italian American identity”. E’ l'ospite ideale per parlarne, e noi gli diamo il benvenuto, ringraziandolo.

Professor Gems, nel suo libro si analizza il ruolo dello sport nella formazione dell'identità italoamericana e poi attraverso i successivi decenni...

Quando gli immigrati italiani arrivarono negli Stati Uniti (per lo più tra il 1880 e il 1920) non avevano alcun senso di identità. L’Italia era stata liberata dalle potenze straniere solo dopo il 1860 e, anche se il paese era stato nominalmente unito sotto Vittorio Emanuele II, il re del Piemonte, la maggior parte delle persone, in particolare nel Mezzogiorno e in Sicilia, non si considerava italiana. La loro fedeltà non era per il nuovo governo, che percepivano essere solo un altro occupante e tassatore, ma alle loro famiglie e ai concittadini dei loro villaggi. Quando migrarono in America, non iniziarono subito a considerarsi americani; e d’altronde i WASP bianchi, anglosassoni, protestanti americani, che erano la stragrande maggioranza della popolazione americana, non li accettarono come tali. I WASP, infatti, vedevano gli italiani meridionali e siciliani come un popolo inferiore, indegni di diventare cittadini americani. Questo stereotipo razziale sarebbe continuato per decenni, e ancora oggi, la percezione degli italiani come gangster aleggia nei film americani e show televisivi. Il mio libro analizza come i migranti provenienti dall’Italia svilupparono una identità italiana negli Stati Uniti, e il ruolo dello sport in questo processo. Gli italiani e i cittadini americani cominciarono a celebrare il Columbus Day come un giorno di festa nazionale; ma i migranti italiani mantenevano i loro dialetti, il loro cibo, le loro forme di ricreazione - come le bocce o i giochi di carte e le danze, i loro stili di vita ancestrali, e la loro religione cattolica, che li distinguevano dai cittadini americani e spesso li ostracizzavano e li escludevano dalla tradizionale società americana. Le leggi richiedevano che i figli degli immigrati frequentassero la scuola, dove veniva insegnata loro la lingua inglese, così come gli sport americani nelle loro lezioni di educazione fisica. I contadini italiani vivevano da una vita in Italia molto fisica, dovuta al lavoro nei loro raccolti e per i loro animali, e la loro fisicità trovò espressione nello sport. Lo sport era una disciplina nella quale gli italiani ebbero presto pari opportunità e poterono sfidare il convincimento circa la presunta superiorità razziale anglosassone. Uno dei primi vincitori della maratona di Boston fu il figlio di un immigrato italiano. Dorando Pietri, il famoso maratoneta olimpico del 1908, venne negli Stati Uniti per sfidare i migliori corridori su grandi distanze, e attirò tifosi italiani provenienti da diverse regioni d'Italia, che poi iniziarono a percepire sé stessi come italiani. Nel 1912 un altro immigrato italiano, Gaston Strobino, che era però già diventato cittadino americano, vinse la medaglia di bronzo nella maratona olimpica. La boxe è un altro sport in cui la prestanza fisica consentì agli italiani di eccellere e i primi campioni del mondo iniziarono a comparire ai tempi della prima guerra mondiale, sconfiggendo i pugili irlandesi ed ebrei che li avevano preceduti. Ma la prima guerra mondiale fu anche un momento di ritorno all’identità nazionale, perché gli italiani che emigrarono negli Stati Uniti e anche i loro figli erano ancora considerati cittadini italiani, che avrebbero potuto e in molti casi effettivamente furono richiamati in servizio per combattere nell’esercito italiano. Molti altri tornarono volontariamente in Italia per combattere, mentre altri ancora entrarono nell'esercito americano lasciando che la loro identità nazionale rimanesse in una sorta di limbo, non pienamente italiani né americani. Mussolini continuamente alimentava l'identità italiana con l'invio di emissari come Italo Balbo e altri negli Stati Uniti, stabilendo scuole di lingua italiana nelle parrocchie cattoliche, e recuperando aiuti finanziari dagli italoamericani per i suoi sforzi imperiali in Africa. Fu solo quando gli italiani si impegnarono nel baseball, lo sport nazionale americano, che guadagnarono una maggiore accettazione nella società americana.

Quali sono stati gli sport più popolari tra gli italoamericani, e perché?

Mentre i primi immigrati si distinsero nelle corse di lunga distanza, gli italiani di seconda generazione promossero la loro identità italoamericana attraverso sport tipicamente americani come baseball, football e basket. Alcuni dei pugili combatterono sotto pseudonimi per mascherare la loro origine italiana, e la prima star del baseball italiano anglicizzò il suo nome, per il quale il padre lo disconobbe. Molti genitori italiani vedevano lo sport come un’attività frivola, mentre i bambini avrebbero dovuto lavorare e contribuire a sostenere la famiglia; ma cambiarono idea quando i loro figli, diventati atleti professionisti, iniziarono a portare a casa più denaro di quello che avrebbero portato se avessero fatto altri tipi di lavoro. Quando Willie Pep (Papaleo) mostrò a suo padre il premio ottenuto grazie ad una sua vittoria in un incontro di boxe, il padre – entusiasta - gli chiese se potesse riuscire a combattere due volte la settimana successiva. Altri guadagnarono abbastanza per comprare una casa per i loro genitori e fornire loro una vita migliore di quanto avrebbero mai sperato in Italia. La boxe in particolare era uno sport particolarmente adatto allo stile di vita molto fisico e alla disposizione mentale dei contadini italiani. Era uno sport individuale che richiedeva forza, durezza, resistenza, e autodisciplina, tutte qualità tipiche della loro vita in Italia. Il baseball, tuttavia, divenne lo sport che più di altri riuscì ad assimilare gli italiani nella cultura americana. Essi venivano da una società comunitaria, che metteva prima di tutto la famiglia; mentre la cultura americana promuoveva l'individualismo. Il baseball permise loro di unire entrambe le prospettive: perché tutti i nove giocatori dovevano lavorare insieme giocando in difesa, proprio come la loro famiglia, per fare in modo che la squadra avesse successo; ma nella fase di attacco, ogni giocatore agiva singolarmente quando aveva la possibilità di colpire la palla. Come una metafora del sistema economico capitalista americano, i giocatori (o lavoratori) che colpivano (producevano) di più come singoli individui venivano pagati di più rispetto a coloro che colpivano (producevano) meno. Il baseball insegnò anche il rispetto per l'autorità tipicamente americano. Molti italiani che dovevano sopportare datori di lavoro, affittacamere e supervisori autoritari, avevano adottato posizioni politiche radicali, comuniste, socialiste, anarchiche, viste o considerate antitetiche al sistema democratico e capitalista americano. Giocando a baseball impararono che se si litigava sostiene con l'arbitro (il “boss” del gioco, dotato di autonomia decisionale) si poteva essere espulsi dal gioco (o, nella metafora, privati del posto di lavoro). Nel football americano c’erano stati giocatori italiani sin dalla fine del XIX secolo, e già nel 1915 il giocatore che segnò più punti nella lega dei college universitari americani fu un italiano; ma erano molto pochi gli italiani che potevano permettersi di frequentare il college. Tuttavia, la prestanza atletica valse loro borse di studio (vitto e alloggio gratuito, lezioni e libri in cambio delle loro prestazioni sportive) presso le università e fornì una maggiore mobilità sociale ai laureati. Quando il campionato di football americano professionistico divenne più importante, dopo la seconda guerra mondiale, e superò il baseball come gioco nazionale americano preferito nel 1960, diversi giocatori italiani eccelsero tra i migliori della NFL.

Chi è il suo campione sportivo italoamericano preferito? C’è aneddoto su di lui che pochi conoscono, e che le piacerebbe condividere con i nostri lettori?

Ci sono così tanti grandi campioni italiani che è difficile sceglierne solo uno. Bisogna dare il giusto riconoscimento a Joe DiMaggio, considerato il più grande giocatore di baseball della sua epoca (1936-1951), che costituì un vero punto di svolta per l’identità italoamericana. DiMaggio era un eroe umile ma molto orgoglioso delle sue radici italiane, che onorava molto i suoi genitori, riuscì a superare gli stereotipi razziali, vincendo il riconoscimento della società americana, come dimostra il suo breve matrimonio con la dea di Hollywood, Marilyn Monroe. Prima del successo di DiMaggio gli italiani erano ancora visti come un gruppo razziale separato, inferiore alla razza bianca. I sociologi e gli antropologi iniziarono a separare il concetto di etnia (le comuni caratteristiche culturali) dal concetto di razza (spesso basato sul colore della pelle) solo tra le due guerre mondiali. DiMaggio vinse il razzismo e conquistò il diritto a essere considerati bianchi per tutti gli italoamericani. Nel corso della sua carriera di giocatore di baseball stabilì un record nel corso della stagione sportiva del 1941, che ancora dura e che probabilmente non sarà mai battuto. Un altro eroe sportivo è Rocky Marciano, il campione mondiale dei pesi massimi che si ritirò imbattuto (49 match vinti e nessuno perso). Anche se non era un pugile particolarmente massiccio (per gli standard odierni sarebbe stato considerato nella categoria dei pesi massimi leggeri), superò molte battute d'arresto e utilizzò le sue limitate capacità insieme ad una eccezionale durezza e caparbietà, fino a raggiungere l'apice della sua professione grazie soprattutto al duro lavoro e alla disciplina. Lo fece nel corso di un periodo (gli anni ’40 e ‘50) in cui gli italoamericani stavano guadagnando molta considerazione nella cultura popolare americana, anche grazie ad un altro eroe, non sportivo ma dell’intrattenimento, come Frank Sinatra: un grande attore di Hollywood e un sensazionale cantante, in un’epoca in cui anche diversi altri cantanti italiani arrivavano al top delle classifiche sia individualmente che come gruppi musicali. Tuttavia, il mio sportivo italoamericano preferito è un giocatore di baseball che giocò nei Chicago Cubs, la squadra della mia città natale. Il suo nome è Anthony Rizzo, e lui sta guidando la squadra proprio ora verso una rinascita inedita per una squadra che non vince il campionato dal lontano 1908. Non solo è la stella della squadra e dell'intero campionato; ma lui ha una storia particolare, perché è sopravvissuto al cancro. Rizzo ha dato vita ad una fondazione di beneficenza per aiutare i bambini malati di cancro, ed io ho un nipote che ne soffre. In un momento in cui molti atleti professionisti sembrano essere egoisti ed egocentrici, Anthony Rizzo è umile e condivide la sua ricchezza con chi ha bisogno.

Durante la sua ricerca, ha trovato traccia di uno o più talenti italoamericani che non hanno avuto la fama e il successo che avrebbero meritato?

Sì, ce ne sono stati molti: uno in particolare mi viene in mente. Joe Savoldi era un giocatore di football americano nella squadra della Notre Dame University, il più noto college cattolico negli Stati Uniti. Insieme con l’altro giocatore italiano Frank Carideo, Savoldi guidò la squadra cattolica nel campionato nazionale nel 1929 e 1930. Tuttavia, Savoldi fu cacciato dalla scuola quando il suo matrimonio segreto divenne noto, in occasione del suo divorzio che fu molto pubblicizzato. Savoldi allora divenne professionista e poi per guadagnarsi da vivere iniziò una carriera nel wrestling; ma la dovette interrompere quando si arruolò nei servizi di spionaggio americani durante la liberazione dell’Italia da parte degli alleati. Nato in Italia, Savoldi aveva mantenuto la capacità di parlare numerosi dialetti italiani, che fu di immenso valore per i militari americani.

Perché nella comunità italoamericana c'è una grande differenza tra il numero degli uomini e quello delle donne che hanno avuto successo nello sport?

Mentre continua ad esserci una grande lacuna nella copertura mediatica di atleti di sesso maschile e femminile, i tassi di partecipazione delle donne nello sport sono notevolmente aumentati dopo l'emanazione del titolo IX, una legge federale che nel 1972 ha assicurato la parità tra generi. Le bambine degli immigrati italiani in realtà poterono godere di questa parità anche prima. Mentre in Italia le ragazze venivano spesso tenute in casa e destinate ai lavori domestici fino a quando si sposavano, negli Stati Uniti si abituarono rapidamente ad una nuova maggiore libertà. Nel 1897 Clementine Brida, meglio conosciuta come Maud Nelson, il suo nome da sposata, iniziò a giocare a baseball e poi divenne addirittura proprietaria di una squadra femminile itinerante, una cosa che sarebbe stata impossibile in Italia. In seguito assunse Margaret Gisolo, che era talmente talentuosa da aver vinto un campionato di stato con la squadra maschile, provocando una protesta che nel 1928 divenne di portata nazionale, riguardante la possibilità per le ragazze di giocare nei campionati maschili. A quel tempo Eleanor Garatti-Saville aveva già fissato un record mondiale nel nuoto e vinto due medaglie d'oro come parte di due squadre olimpiche americane. Nel corso del 1930 donne italoamericane gareggiarono nella squadra di ginnastica olimpica americana e numerose atlete italoamericane da allora in poi hanno giocato e vinto in diversi sport. L'impeto del titolo IX dopo il 1972 fornì certamente molte più opportunità di praticare sport per le ragazze e le donne, e d’altra parte dalla terza generazione gli italoamericani avevano ormai in gran parte sviluppato un’identità americana-italiana, superando l’antica tradizione del passato che voleva le ragazze quasi nascoste dal pubblico. Alla fine del XX secolo, Donna Lopiano, una stella in diverse discipline sportive, e capo della Women’s Sports Foundation, era considerata il più potente dirigente sportivo femminile di tutti gli Stati Uniti.

Quando si parla di sport e di Italia, la prima parola che viene in mente è "calcio". Lei pensa che il calcio potrà mai diventare popolare negli Stati Uniti come il baseball o il football o il basketball? E, in ogni caso, quale sarà il ruolo della comunità italoamericana in questo?

Gli italiani sono stati tra i leader nello sviluppo di calcio negli Stati Uniti, in particolare a St. Louis, che fornì quattro giocatori per la squadra degli Stati Uniti che giocò la Coppa del Mondo del 1950. Alcune squadre ingaggiarono anche giocatori direttamente dal campionato italiano per migliorare le loro squadre; ma il calcio ha avuto molte difficoltà nel gareggiare con gli sport tradizionali americani come il baseball, il football e il basketball, che si sovrappongono e congestionano il calendario sportivo annuale. C'è poco spazio per eventuali progressi del calcio, anche se con il crescente numero di immigrati provenienti da paesi dove si gioca molto a calcio, questo sport ha acquisito una certa notorietà ed è tra i più praticati a livello giovanile. Ciò è particolarmente vero per le ragazze, a causa del grande successo della squadra femminile nazionale alle Olimpiadi e nella Coppa del Mondo. Incontri di calcio europei sono ormai trasmessi settimanalmente sulla televisione americana, e questo certamente aiuterà a crescere la base dei tifosi americani. Purtroppo, almeno un italiano è visto come “un cattivo” nella crescita del calcio in America. Giuseppe Rossi, nato nel New Jersey, ha deciso di tornare in Italia e di giocare per la sua squadra nazionale italiana invece che rimanere nella sua città natale e giocare per la nazionale americana in occasione delle qualificazioni per le olimpiadi del 2008 a Pechino. Se avesse scelto diversamente, avrebbe potuto essere il Joe DiMaggio del calcio americano. Nonostante tutti i successi degli italoamericani nello sport, non credo che l'assimilazione sia del tutto completa. I giovani italoamericani spesso ancora seguono tradizioni del passato esaltando la loro discendenza etnica riguardo alla partecipazione a festival, agli abiti, alla musica, al cibo e allo stile di vita. Questo fenomeno, da molti definito come “guido culture“, è particolarmente importante nello Stato di New York, quello con il maggior numero di abitanti di origine italiana. Tuttavia, gli Stati Uniti sono un Paese di immigrati, e gli italoamericani hanno aggiunto molto alla cultura nazionale americana.


di Umberto Mucci