“Amore” per la musica

mercoledì 30 settembre 2015


L’importanza della musica per gli Italiani in America è stata fondamentale: da mezzo di attaccamento alla terra lasciata a espressione della propria passione; da veicolo di rivincita grazie al successo dell’opera, all’affermazione delle doti artistiche italiane. Mark Rotella ha analizzato questo fondamentale aspetto del rapporto tra Italia e Stati Uniti, con un libro dal titolo “Amore: The Story of Italian American Song”.

Quando i nostri connazionali arrivarono in America, la musica permise loro di rimanere attaccati alle loro radici. Cantavano vecchie canzoni, alcuni ne scrissero di nuove per descrivere la loro esperienza. Enrico Caruso era il loro eroe...

Quando gli italiani vivevano nelle Little Italy, l’opera fu per loro un grande punto di riferimento. Enrico Caruso portò una voce che non si era mai sentita prima. Quello era il momento in cui veniva inventata la tecnologia per registrare i dischi: c’era in atto una competizione tra due tecnologie, che fu vinta da quella sulla quale la voce di Caruso risultava migliore. Caruso ha cambiato la storia della musica: quando venne negli Stati Uniti il repertorio dei teatri musicali divenne italiano, e così gli italiani iniziarono ad andarci. Erano poveri, sul gradino più basso della scala sociale ed economica, per cui stavano nei posti più economici in balconata, ascoltando l’opera e sognando la terra in cui erano nati. Erano discriminati e poveri: e poi arrivò il cantante più famoso e di successo, un cantante italiano, proveniente proprio dalla loro terra. Questo li rese orgogliosi e li spinse ad essere fieri della loro origine: Enrico Caruso era uno di loro, e così pure altri fantastici cantanti, come ad esempio Tito Schipa. Le canzoni erano per i primi italoamericani un modo per esprimere sé stessi: li si poteva sentire nei villaggi, per commemorare i loro santi, ma anche nelle strade vendendo i loro prodotti, cantando: persino lì si poteva trovare qualità.

Il suo libro racconta come sia prima che dopo la seconda guerra mondiale artisti italoamericani come Frank Sinatra, Perry Como, Dean Martin, Tony Bennett e molti altri divennero tra i cantanti di maggior successo negli Stati Uniti...

In ogni cantante col quale ho parlato o del quale ho letto qualcosa c’era sempre l’influenza chiara di Enrico Caruso. C’è un modo di fare musica tipicamente italiano chiamato “sprezzatura”, che rende apparentemente semplice e senza sforzi cantare anche cose difficili: ne furono interpreti Russ Columbo, Louis Prima, Frank Sinatra, Perry Como, Dean Martin, Tony Bennett, Vic Damone e altri, tra gli anni Trenta e Quaranta. Essi arrivarono al successo proprio quando le seconde generazioni di italiani negli Stati Uniti raggiungevano l’età in cui si comprano i primi dischi e si ascolta musica in radio.

Può condividere con noi un paio di aneddoti poco noti presso il grande pubblico?

Una volta chiesi a Jerry Vale, molto popolare negli anni ‘50, che effetto gli facesse - lui proveniente da una famiglia di operai - stare sul palco con migliaia di fan che urlavano il suo nome... e lui disse: “Sai, per me era solo un lavoro, proprio come mio padre che costruiva le strade: solo che io cantavo”. Era così per altri cantanti italoamericani: dotati di grande talento e molto felici di cantare, ma con l’approccio dell’etica del lavoro tipicamente italiana, la stessa di chi venne accettando umili e diversi tipi di lavoro. Un’altra cosa che mi piace ricordare riguarda Frankie Laine. Lui era di Chicago, uno dei primi a cantare con uno stile “black”. Ascoltandolo, sembra un po’ di sentire Elvis Presley: Elvis è cresciuto ascoltando l’opera alla radio, e il suo eroe era Dean Martin. Le ultime canzoni di Elvis sono molto in stile operistico: a quel tempo il suo idolo era Mario Lanza, e uno dei suoi più grandi successi è stato “It’s now or never”, la versione inglese di “O Sole mio”. Beh, Frankie Laine è molto simile ad Elvis Presley, ma i suoi dischi uscirono un decennio prima!

Che dire, invece, della musica scritta e prodotta in Italia?

L’unico cantante che mi viene in mente è Domenico Modugno: Volare (“Nel blu dipinto di blu”) è stato un successo enorme qui, e molti cantanti italoamericani l’hanno inserita nel loro repertorio. Ora ci sono i tre ragazzi italiani de “Il Volo” che stanno avendo un buon successo: sono bravi, certo, ma non si avvicinano nemmeno al successo di Domenico Modugno, o addirittura a quello di Madonna e Lady Gaga. Ma non c’è dubbio che abbiano una buona popolarità presso gli italoamericani.

Dopo il periodo d’oro, gli autori italoamericani continuarono ad avere successo: da Bruce Springsteen a Madonna, da Jon Bon Jovi a Lady Gaga, che impatto hanno avuto sulla nuova società americana?

Anche negli anni ‘60 e ‘70 c’erano cantanti che mostravano lo stesso senso di “sprezzatura” mostrato dalla prima generazione di cantanti italiani negli Stati Uniti… nuovi autori cresciuti ascoltando anche la lirica e la musica tradizionale italiana: Bruce Springsteen, Madonna, Cindy Lauper, anche Lady Gaga (il cui padre è un musicista) hanno spesso citato alcuni cantanti italoamericani come loro idoli. Ma, contrariamente a un tempo, ora è cool - anche se non si ha un cognome che termina con una vocale - affermare che si è di origine italiana.


di Umberto Mucci