Venezia in Venezuela

mercoledì 30 settembre 2015


La 72esima edizione del Festival è andata. E tutti contenti, madama la marchesa. Confermato Alberto Barbera a direttore del Festival del cinema, parola del presidente Paolo Baratta. Nono mandato, 13 anni di comando (incluso il periodo 1998-2002). I conti, però, tornano, 380 film per 50mila paganti (un anno fa 47mila), 2.720 giornalisti, 1.600 operatori commerciali e 3mila ospiti accreditati. Incassi per 5 milioni di euro, spesi 13, ma ci sono sempre 8 milioni di tasse a riequilibrare.

Ha vinto un venezuelano, secondo un argentino. C’era un film cinese migliore, ma alla Cina il Leone d’oro era toccato nel 2006. Venezia è un Risiko ormai, con i premi che seguono la mappa dell’Onu. Nella divisione del lavoro internazionale, ha detto Barbera, “Cannes ha riscoperto il cinema francese, Venezia quello sudamericano”. Infatti la Côte d’Azur sta in Francia e la Laguna in Venezuela, come dimostrano i suoi piedi scalzi.

Dopo i maggiori festival di quest’anno, il cinema italiano mastica amaro, amarissimo. Era andato tutto impettito a Cannes “dopo vent’anni con tre film di altissima qualità” di Moretti, Garrone e Sorrentino. E non ha vinto niente. In casa, si è sentito dire da Barbera che l’ultima annata è stata “meno felice del solito”. Come, non c’erano film di altissima qualità? Poi il direttore ha infierito: “Si fanno troppi film in Italia, sempre con meno soldi, a discapito della qualità”. Dura prendersela con un monumento come il direttur.

Allora Moretti se l’è presa con il pubblico, cretino, che lo fa apposta a non andare al cinema. Giusti su Dagospia si è scagliato contro i creativi, registi, attori e sceneggiatori, proprio lui che è un veterano dello schiavizzarne a centinaia. Fatto sta che i film italiani più amati in America, cioè nel mondo, sono dell’età del cucco. WatchMojo.com elenca il Fellini ‘50 e ‘60 (La strada, Le notti di Cabiria, La Dolce Vita e 8 ½), di cui vivono i remake (La Grande Bellezza, 2013). Il neorealismo di Vittorio De Sica (Ladri di biciclette e Umberto D.) e l’esprit di Michelangelo Antonioni (L’avventura, 1960). Bernardo Bertolucci (Il conformista, 1970) viene preso per un regista francese, lo spaghetti-western di Sergio Leone (Il buono, il brutto e il cattivo - 1966) è associato a Eastwood, e Tornatore (Nuovo Cinema Paradiso, 1988) al folklore dell’immigrazione siciliana. La benignesca “La vita è bella” (1997) sta nell’elenco dei doverosi omaggi alla Shoah. Di recente, c’è solo “Suspiria” di Dario Argento (1997) e “La ricerca della felicità” (2005), ma il film di Gabriele Muccino non è mica considerato italiano.

I professori raccontano la solita solfa, quella del cinema italiano, migliore del mondo, cui è toccata in sorte un’industria culturale indegna, metà alla questua nel sottobosco politico metà produttrice di pessime serie televisive. Hanno l’idea sbagliata che nel cinema, creativi, produzioni, pubblico e critica contino allo stesso modo. Invece la settima arte, mix di artigianato industriale e commercio, come tutte le merci, si fonda sul produttore ed il cliente. I creativi fanno parte della produzione e la critica con la sua rete relazionale agevola l’incontro tra creativi e produzione. Quanto scrive raramente influisce sui biglietti pagati.

Dell’autobiografia di Moretti non se ne può più. Che se la compri il Partito democratico per la comprensione del proprio psicodramma. L’auguri è che la prossima pellicola dedicata al testamento sia l’ultima. Perché omaggiare dive autoreferenziali divenute note in America per la voce roca da porno? Perché affollarsi a seguire le avventure di un 50enne che vuole scoparsi un 18enne o guardare, tra una lesbica e l’altra, l’ex amante di Antonioni, ormai 70enne, che si masturba? Il pubblico italiano paga sempre il cinema, anche se non lo guarda. Paga più della metà di Venezia. Paga un terzo per le elucubrazioni degli altri. Che possa, a consultazione pubblica, votare le storie e trame preferite; scegliersi attori, attrici e relative gesta. Che lo accontentino o meno, a breve lo farà su piattaforme e applicazioni digitali social. A quel punto, Moretti, professori e Giusti neanche ce l’avranno un cinema su cui accalorarsi.

 

(*) Nella foto l’esordiente regista venezuelano, Lorenzo Vigas, che con il suo “Desde Allá” ha conquistato il Leone d’oro alla 72esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia


di Giuseppe Mele