Cultura italoamericana nel New York State

mercoledì 16 settembre 2015


New York è senza dubbio lo Stato americano con il maggior numero di italoamericani. Tuttavia, anche se quasi tutti sembrano essere interessati solo a New York City, nella parte settentrionale dello Stato di New York la loro presenza è veramente molto grande. Ad Albany, la capitale dell’Empire State, a circa 150 miglia a nord di Manhattan ce ne sono molti; e c’è anche una struttura che fa da museo e centro culturale che celebra il nostro patrimonio culturale. Come spesso in questi casi, questo museo esiste grazie ad un pioniere visionario che lo ha fondato e ancora oggi lo dirige, facendo volontariato: il professor Philip DiNovo.

Philip, tu sei il fondatore e presidente della American Italian Heritage Association and Museum di Albany, NY. Puoi dirci qualcosa sulla storia di questa istituzione?

Nel 1979 ci siamo incontrati con altri professori universitari, verificando che in quel momento avvertivamo che molta gente iniziasse a rendersi conto che noi Italiani avevamo un meraviglioso patrimonio culturale. Eravamo d’accordo sul dover dare vita ad una organizzazione per collezionare e preservare il nostro patrimonio italiano. Li ho incontrati nella Syracuse University Law School e poi, da lì, abbiamo continuato a ragionare, e poi abbiamo fondato l’American Italian Museum. Questo museo è diverso dai musei italiani, perché il suo scopo è quello di onorare gli immigrati italiani che hanno reso possibile per altri italiani il fatto di potersi integrare e vivere il sogno americano, grazie al loro sacrificio. Questo sacrificio a volte è stato enorme: ho una targa qui nel museo che ricorda tutti gli italoamericani che sono stati linciati qui negli Stati Uniti. Un’altra missione del museo è quello di informare circa il contributo che gli italoamericani hanno dato agli Stati Uniti, per cui abbiamo mostre sulla nostra storia e un negozio di souvenir. Al secondo piano, si trova il Centro Culturale Italiano, dove abbiamo una piccola galleria d’arte, una classe, una cappella. L’edificio è stato completato nel 1922: si tratta di un palazzo architettonicamente unico, che assomiglia a una di quelle missioni religiose che si troverebbero nel sud ovest degli Stati Uniti, è molto singolare. Prima era una chiesa, ne abbiamo fatto un museo di 540 metri quadri e ci sono voluti cinque anni per restaurarlo, e nove anni per realizzare il secondo piano, quindi abbiamo davvero ottenuto qualcosa di eccezionale: e siamo tutti volontari, nessuno viene pagato. Purtroppo, noi italoamericani non siamo uniti, non lavoriamo insieme. Ci sono altri musei italoamericani a New York, Los Angeles, San Francisco, New Orleans, Philadelphia ... lavorando insieme tutti potremmo fare di più, perché la domanda è: come farà la nostra cultura a sopravvivere negli Stati Uniti? Sono interessato perché io qui nel museo ho un tesoro raccolto lungo 35 anni qui, e noi non abbiamo un fondo finanziario permanente. Avere un fondo permanente, magari da una università o da una scuola, sarebbe il modo per essere sicuri che i manufatti e la memoria saranno conservati negli anni a venire, in modo che le generazioni future possano conoscere l’esperienza degli immigrati, ciò che è accaduto. Questa è una mia grande preoccupazione ora, perché io non sono più così giovane e voglio fare in modo che questo museo mi sopravviva. C’è un museo Irlandese ad Albany, è chiamato il Museo del Patrimonio irlandese, ed è sostenuto economicamente dal governo irlandese. Vorrei che il governo italiano avrebbe fatto lo stesso: il governo italiano spende molto più tempo e denaro a New York, ed è comprensibile, perché è la città con il più alto numero di italo-americani nel paese. Tuttavia, sembra che abbiano dimenticato la popolazione italiana americano al di là di New York City.

Quali sono le attività che organizzate?

Siamo più di un museo. Ogni due mesi abbiamo una nuova mostra. Organizziamo lezioni di cultura, di lingua e di cucina italiana, abbiamo un club del libro, un gruppo di carte italiano, presentazioni di libri o documentari, giochiamo a bocce, abbiamo molti eventi diversi in tutto l’anno: facciamo molte cose per mantenere vivo il nostro patrimonio culturale. Abbiamo un grande mercato italiano di Natale ogni anno. C’è gente qui che spesso andava in Italia, e vuole rimanere in contatto con le proprie radici e con l’Italia: e si rivolgono a noi. Io sono italiano di terza generazione, i miei nonni sono nati in Italia, i miei genitori sono nati qui e io anche. Ci sono 155mila italoamericani solo nelle cinque contee nell’area metropolitana di Albany, che è solo una parte della parte settentrionale dello Stato di New York, dove vivono molti italoamericani. Questo museo è grande, considerando le nostre poche forze, ma non ha raggiunto il suo pieno potenziale, perché dobbiamo raccogliere 145mila dollari l’anno solo per sopravvivere. Penso che la maggior parte degli italoamericani stiano perdendo parte della loro italianità. Sono solo italiani nel loro nome, ma sanno molto poco sull’Italia. Il nostro cibo sopravvive, sì, ma la nostra cultura è molto più del cibo. A volte sono alcuni italiani di terza generazione che trovano le loro radici e sono molto interessati ad esse. Quelli di prima generazione naturalmente erano molto italiani, essendo nati lì. I loro figli volevano diventare americani, e così spesso cercavano di regolare la loro cultura sui canoni americani. Ora abbiamo diversi italoamericani che non conoscono bene il nostro Paese: e non si può mantenere vivo un patrimonio culturale solo con le parole. Quello che dobbiamo fare è trasformare le parole in azione, ma è un grande problema: come si fa a farlo con i giovani?

Il web è un modo, questo è ciò che noi di “We the Italians” stiamo cercando di fare

Anche noi stiamo usando il web, ma sono preoccupato perché non so bene come si possa trasferire la Rete in azione. C’è solo divertimento, o si può anche fare formazione ed educare? Come si arriva a convincere i nostri ragazzi a voler andare in Italia e imparare l’italiano?

Qual è la storia dell’emigrazione italiana in Upstate New York?

Beh, una piccola curiosità è che il primo italiano che è arrivato nello Stato di New York non è venuto a New York City nel 1635, come si racconta: i primi arrivarono dieci anni prima ad Albany, vennero con gli olandesi. Molti degli italiani che sono venuti nel nord del nostro Stato, prima vivevano nella città di New York e poi hanno sentito parlare delle opportunità che c’erano quassù. Noi abbiamo una biblioteca, e alcuni dei nostri libri raccontano alcune di queste storie. Qualcuno era un contadino, e iniziò a coltivare diversi prodotti, come ad esempio le cipolle. C’erano molte fabbriche qui, e la costruzione delle ferrovie e dei canali attirarono tanti lavoratori italiani: molte città nella parte settentrionale dello Stato avevano e hanno una grande popolazione italiana. Per esempio, a Utica, dove il nostro museo è stato temporaneamente dal 1995 al 1998, la maggior parte dei cittadini in quegli anni era italoamericana, e lì erano arrivati per lavorare nel settore dei mulini. Così, diverse opportunità portarono diversi italiani in diverse città di Upstate New York. E poi loro chiamarono i loro paesani per dire loro che c’erano opportunità, così ne arrivarono tanti altri.

Quali sono i più importanti luoghi “italiani” nel nord dello stato di New York?

Abbiamo Little Italy in alcune città qui. Non sono più quelle di una volta, perché molti di quegli italiani si spostarono in zone migliori con più spazio quando ne ebbero la possibilità economica. Parlando di Albany, c’è da poco un nuovo documentario dal titolo “The Neighborhood That Disappeared” sulla nostra Little Italy, che è stata distrutta portando via 9mila persone dalle loro case e 333 negozi e imprese, che erano il cuore del quartiere. Schenectady e Troy hanno anche ancora le loro Little Italy, ma molto piccole. Noi abbiamo ancora alcune parrocchie italiane, meno di un tempo. Abbiamo anche ancora alcuni posti, come parchi e strade, che prendono il nome da italiani.

Ci sono molti italiani nati in Italia e recentemente emigrati in Albany e dei suoi dintorni?

Ne abbiamo alcuni perché abbiamo imprese che operano nell’alta tecnologia qui, un grande nuovo complesso ad Albany. La nostra organizzazione ha alcuni membri che sono nati in Italia e vennero qui dopo la guerra, e parlano italiano. Tornano in Italia spesso.

Come va il “made in Italy” nella vostra area?

I negozi hanno molti prodotti italiani. Il made in Italy ha un’immagine molto positiva. Sfortunatamente, alcune persone non conoscono la differenza tra falso e vero made in Italy. Ad esempio, quando cerco l’olio d’oliva, devo stare molto attento perché a volte ho trovato una bottiglia con un nome italiano ma proveniente da un altro Paese. Bisogna informarsi e prestare attenzione, altrimenti si compra un prodotto che non è italiano.

Esiste un grande importante Festival italiano ad Albany?

No, perché abbiamo perso molte delle nostre parrocchie italiane. È molto popolare la festa di Sant’Antonio a Schenectady, c’è qualcosa a Troy in agosto e ad Albany nel mese di settembre, facciamo anche la Tavola di San Giuseppe e festeggiamo Santa Lucia, e poi celebriamo il Columbus Day. In Utica fanno qualcosa di grande in occasione di San Cosma e Damiano. Tuttavia, non c’è una grande festa italiana.


di Umberto Mucci