Saggio su Majakovskij

martedì 8 settembre 2015


Il mistero più fitto e impenetrabile, a distanza di tanti anni, circonda la morte del grande poeta russo Vladimir Majakovskij. Serena Vitale, docente di letteratura russa e scrittrice di grande valore, con un metodo storico critico ha voluto indagare e ricostruire i momenti che precedettero la morte del poeta, avvenuta nel suo studio di Mosca in passaggio Lubjanshij. Secondo la versione ufficiale, accreditata dalla storia Russa, Majakovskij si sarebbe suicidato.

Per capire come avvenne la sua morte, e soprattutto comprendere e rappresentare l’atmosfera politica e culturale esistente nella Russia degli anni trenta, quando lo stalinismo era al culmine della sua tragica e dolorosa vicenda politica, Serena Vitale ha scritto un saggio dal ritmo incalzante ed emozionante, edito dalla casa editrice Adelphi con il titolo “Il defunto odiava i pettegolezzi”. Il libro si apre con la descrizione del poeta che, dopo avere avuto una conversazione con la sua amica Veronika Polonskaja, si punta l’arma al petto e si toglie la vita.

Confrontando le diverse testimonianze, quelle raccolte dagli inquirenti moscoviti dopo la morte del poeta, con i diari e le dichiarazioni scritte di altre persone che frequentarono a lungo Majakovskij, Serena Vitale, grazie al suo metodo di indagine storico critico, nota e scopre contraddizioni e incongruenze. Per alcuni testimoni l’attrice Veronika Polonskaja, di cui il poeta era innamorato, era nella stanza quando risuonò il colpo di pistola, che causò la morte del poeta, per altri, diversamente, si trovava sulle scale ed era in procinto di lasciare da sola il palazzo, in cui vi era lo studio del poeta. Il libro si presenta al lettore con la sua perfezione stilistica come un saggio storico sulla Russia degli anni trenta, sul mondo intellettuale moscovita di quel periodo storico, come un romanzo inchiesta sulla morte, avvenuta in circostanze oscure, di uno dei più grandi poeti del novecento.

Come era stata la vita di Vladimir Majakovskij fino al 14 aprile del 1930, giorno della sua morte, nella Russia comunista? Prima di avere una storia d’amore con l’attrice teatrale Veronika Polonskaja, Majakovskij era stato l’amante di Lili Brik, sposata con l’attore Osip Brik. Per penetrare nelle vicende sentimentali del poeta russo, anticonformista e animato dalla volontà di vivere in modo libero dalla convenzioni borghesi, Serena Vitale ricorda che Majakovskij amava leggere e rileggere il romanzo intitolato Che Fare, di cui era autore Cernysevskij, nel quale un marito, pur di non ostacolare l’amore di sua moglie per un altro uomo, fugge e scompare. Quasi a trovare conforto nei grandi libri della letteratura russa, anche Majakovskij ebbe storie d’amore con donne coniugate e sposate, prima con Lili Brik, in seguito con Veronika Polonskaja.

In realtà, come emerge da questo libro straordinario per il modo in cui è scritto, con un intarsio mirabile in cui confluiscono i testi poetici di Majakovskij, i diari di persone e intellettuali che lo frequentarono, le lettere e le testimonianze delle sue donne, il poeta russo era sempre stato un uomo tormentato e infelice, per questo motivo votato alla solitudine. Proprio in uno dei suoi viaggi all’estero, concessi dal regime stalinista soltanto in quegli anni cupi e terribili ai grandi scrittori e intellettuali, Majakovskij aveva incontrato una donna bellissima, di cui si era invaghito perdutamente. Si trattava dell’attrice Tat’jana Jakovleva, con cui il poeta ebbe una storia d’amore breve e intensa. Fu Lili Brik a fargli capire, quando rientrò in Russia dal sul viaggio a Parigi, che uno scrittore come lui, poeta ufficiale del regima stalinista e comunista, mai avrebbe potuto unirsi in matrimonio con una attrice bianca e controrivoluzionaria come Tat’jana Jakovleva, che viveva e abitava in Francia. Lili Brik, per distoglierlo dall’amore tormentato e infelice verso Tat’jana gli presentò Veronika Polonskaja.

Secondo quanto è riuscito a scoprire Serena Vitale, prima della sua morte, Majakovskij chiese a Veronica Polonskaja di lasciare il marito e di andare a vivere con lui. La donna oppose un netto e irremovibile rifiuto alla richiesta del poeta, solo e tormentato. Per denigrarlo e sminuirne la statura intellettuale, a dimostrazione della quale vi sono i suoi versi belli e memorabili per la profondità delle immagini in essi disseminati, i suoi avversari e nemici sulla stampa del regime scrissero che si era suicidato per motivi privati, subordinando la grande causa rivoluzionaria, di cui era un cantore ufficiale, alle sua dolorose e sfortunate vicende sentimentali. Altri scrittori, come Gor’kij insinuarono perfidamente che Majakovskij fosse affetto dalla sifilide, malattia considerata legata alla cultura del capitalismo. Serena Vitale, per evocare il clima intellettuale che vi era nella Russia di Stalin negli anni trenta, quando avveniva la collettivizzazione forzata delle campagne e la industrializzazione voluta dal regime con metodi dispotici e illiberali, ricorda che nel 1930 molti furono gli intellettuali e gli scrittori eliminati e annientati con l’accusa infamante di avere commesso reati contro la rivoluzione.

Prima della sua morte, moltissime furono le offese e le umiliazioni che, nel corso del terrore staliniano che annientava la libertà di espressione degli intellettuali, dovette subire Majakovskij. La manifestazione in suo favore, intitolata Venti Anni di Lavoro, venne deplorata e aspramente criticata da Artjomyj Chalatov, direttore generale delle edizioni di stato e feroce e intransigente epuratore della letteratura Russa. La Rapp, l’associazione degli scrittori, non risparmiò critiche ingiuste a Majakovskij, accusato di non avere compreso la visione e le idee su cui si basava lo spirito rivoluzionario bolscevico. Una sua Pièce teatrale intitolata Banja, prima della sua morte, venne stroncata sulla pagina culturale della Pravda dallo scrittore Vladimir Ermilov.

Proprio in questo periodo, subito prima della sua morte, Majakovskij confessa ai suoi amici di non credere più in quanto sta scrivendo e componendo. Sono gli anni del disinganno e del crollo degli ideali in cui aveva creduto, epoca cupa e tragica in cui, a causa del terrore imposto dallo stalinismo, fu costretto a constatare che il regime stava tradendo e sfigurando la causa rivoluzionaria, in cui aveva riposto le sue speranze di assistere alla nascita dell’uomo nuovo, sogno ambizioso inseguito e perseguito dalla cultura materialistica e comunista. Serena Vitale, confrontando con acribia e ammirevole rigore i documenti storici, disponibili dal 1991 quando gli archivi in Russia dopo la dissoluzione del comunismo sono aperti agli studiosi per le consultazioni, scopre che la pistola, da cui è partito il colpo mortale, non si sa con precisione se fosse una Browning oppure una Mauser. Ma soprattutto, grazie al suo metodo storico critico, di cui è espressione questo libro importante, ha trovato una notizia sorprendente e inquietante.

Infatti risulta da alcuni documenti storici che, subito dopo che era risuonato lo sparo nello studio del poeta di Mosca, comparvero nelle scale del palazzo personaggio legati al servizio segreto del regime stalinista come Agranov, Tret’jakov, Kol’cov. Questa circostanza rafforza i dubbi e i sospetti sul modo in cui avvenne la morte di Majakovskij, tanto da fare affermare al grande regista Sergej Eizenstein: “Uccidere una persona con le sua stesse mani è la più terribile forma di omicidio, sacrilega e crudele”.

Un libro, questo di Serena Vitale, utile per capire l’epoca cupa e crudele dello stalinismo in Russia e in Europa.


di Giuseppe Talarico