La National Gallery ad un quasi italiano

martedì 8 settembre 2015


Se gli Uffizi sono stati affidati ad un tedesco, alla National Gallery, monumento british, c’è un (quasi)italiano, Gabriele Finaldi. Il già direttore aggiunto del Prado di Madrid, nato a Londra in una famiglia emigrata napoletana, non è nuovo alla National per aver collaborato con il mitico innovatore ex direttore MacGregor. Forse per questo ha vinto le resistenze del governo Cameron ottenendo un ingaggio da 200mila sterline, superiore di un quarto a quello del predecessore Sir Penny. O forse no.

L’arrivo dell’angloitaliano in Trafalgar Square in pieno ferragosto è stato salutato dagli scroscianti applausi del mondo dell’arte inglese, impressionato dalle sue innovazioni di Madrid, ma anche dalle sale vuote per gli scioperi in corso.

Dal nuovo direttore ci si attende una soluzione per il conflitto sindacale in atto che sta bloccando tre quarti delle sale del museo statale, meta di 6 milioni di visitatori l’anno, seconda in Uk solo al British Museum. Due sindacati, il PCS ed il PSI (Public and Commercial Services union e Public Services International) sono impegnati da febbraio a bloccare la privatizzazione di gran parte dei servizi, che trasferirebbe un centinaio di persone sotto la società privata Securitas. Né aiuta che i salari medi dei 300 dipendenti del Museo oggi si aggirino attorno al 10% della paga del nuovo direttore.

Il licenziamento di uno dei leader sindacali, Candy Udwin, ha ulteriormente insprito gli animi. Il governo Cameron non vuole più mantenere il livello di spesa del gratuito National che negli ultimi 5 anni è costato 80 milioni di sterline. Pretende maggiore flessibilità soprattutto per le aperture serali ed una riduzione dei costi del 30% per il museo della Presidente Rothschild. Dall’altra parte i dipendenti rischiano di scendere al salario minimo londinese, il living wage da 9,75 sterline l’ora, 17mila l’anno.

Le proteste, come consueto in questi casi, accusano il governo Cameron al secondo mandato di voler uccidere la cultura e l’arrivo di Filardi ha coinciso con il ritiro di massa di nomi noti come Curtis della Tate Britain e lo stesso MacGregor passato al British. Varie le nazionalità e le origini dei direttori, identici i problemi dei musei. Tutta l’arte è paese


di Giuseppe Mele