sabato 21 febbraio 2015
Per la nostra centesima intervista (buon compleanno a noi!) parliamo di un documentario che andrà in onda negli Stati Uniti (in Italia è già stato trasmesso da Rai Storia) in due parti: le prime due ore il 17 febbraio (alle 21 - ora della costa est), e le seconde due ore la settimana successiva, il 24 febbraio (alle 21), sempre ora della costa est. Il documentario si chiama “The Italian Americans” e, a parere di chi scrive, sarà una pietra miliare per la comunità italoamericana: in queste 4 ore tutti gli italoamericani potranno imparare, commuoversi, ricordare, sorridere, pensare, emozionarsi nel vedere raffigurato in un modo meraviglioso la storia delle loro famiglie, le loro vite, il loro orgoglio di essere Italiani in America. Abbiamo il privilegio di poter intervistare l’autore e regista di questo capolavoro, John Maggio. Avendo visto il documentario, incoraggiamo fortemente tutti i nostri lettori americani a guardarlo, a promuoverlo presso i loro amici e le loro famiglie, e a non dimenticare o dare per scontata la storia degli italoamericani.
John, dicci qualcosa su di te, su come è nato questo progetto e come lo hai realizzato.
Sono stato contattato dalla Pbs Weta, che ha avuto successo nella produzione di una serie sugli ebrei americani, e mi hanno chiesto se volevo considerare la possibilità di un film sull'esperienza italoamericana. Questo è successo ormai cinque anni fa e ci sono voluti circa quattro anni per raccogliere il denaro necessario a realizzarlo. Abbiamo avuto diversi donatori, tra i quali mi piace ricordare il generoso sostegno di Cpb e del National Endowment for the Humanities. Il mio primo compito è stato quello di pensare a come raccontare la storia di un intero gruppo di persone. Ci sono oltre 15 milioni di italoamericani oggi, e tutti hanno una storia unica di immigrazione e assimilazione. Il tema che li unisce e che ho voluto analizzare, sia positivamente che negativamente, è quello della famiglia, un concetto che è molto associato con gli italoamericani. La famiglia criminale italoamericana ha avuto un grande impatto nella coscienza americana. Così ho voluto ricostruire punto per punto questo concetto familiare, e farlo è stato un dispositivo narrativo molto utile per contribuire a strutturare l'intera serie di quattro ore.
Il documentario inizia con il “Roseto effect”, che ho trovato molto interessante. Non vogliamo rovinare la sorpresa al pubblico, ma puoi darci una breve anteprima su questo?
Proprio perché ho deciso di strutturare il film attorno al tema della famiglia, ho pensato che questa fosse la storia perfetta per cominciare, perché è una storia positiva che riguarda la famiglia italoamericana ed è qualcosa di inedito. I legami familiari aiutarono gli abitanti di Roseto, in Pennsylvania, a rimanere in buona salute, perché si concentravano sulla famiglia e non sugli obiettivi individuali. Tutto accadeva in contrasto con la filosofia americana, così ho pensato che fosse il modo perfetto per iniziare a descrivere l'esperienza italiana in America. E' una delle mie scene preferite del film.
Un'altra storia che non conoscevo, che mi ha commosso molto, è stata quella di Anthony Margavio e di suo nonno ...
Anche questa era una storia familiare, di un uomo emigrato in America a cavallo del secolo, per sostituire gli schiavi neri liberati nel taglio della canna da zucchero nelle piantagioni del sud. Questo capovolge le nostre nozioni circa la tradizionale immigrazione italiana attraverso Ellis Island. In realtà, centinaia di migliaia di siciliani entrarono nel porto di New Orleans tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nel 1890 undici siciliani furono linciati a New Orleans, e fu una delle prime volte in cui il termine "mafia" iniziò a farsi strada nella stampa nazionale. Da lì in poi la maggior parte degli italiani furono visti come pericolosi criminali: fu come un grande peso che tutti gli italiani si portarono dietro per generazioni.
Ho apprezzato moltissimo tutti e quattro gli episodi. Ma devo ammettere che quello che mi ha toccato di più è stata la parte chiamata “Americani leali”. Invece, qual è la parte che ti piace ricordare di più?
“Americani leali” è sicuramente commovente, ma quella che mi ha colpito di più è la seconda: “Diventare Americani”. Per me sono i diversi e molto intimi livelli di cambiamento che avvengono nel tentativo di assimilazione in un altro Paese, che ti configurano e non ti lasciano più – e ti segnano come “diverso”: da ciò che si mangia, al cambio del tuo cognome, da come si crescono i propri figli alla la barriera rappresentata dalla lingua. Questi sono momenti di “vergogna” della propria identità che sono molto privati, ma al tempo stesso si riverberano attraverso le generazioni. Queste “offese” si portano con sé per tutta la vita - ma sono profondamente personali. Gli Italiani persero molto di loro stessi e della loro identità, nel diventare Americani: e nessuno parla mai di queste sfide che dovettero affrontare.
C'è un aneddoto che è accaduto durante le riprese, qualcosa che non è nelle immagini che i nostri lettori vedranno, che vorresti condividere con noi?
Ho girato una bella scena con una performance di una brava artista che si chiama Laura Caparrotti, che ha eseguito i monologhi dell’autore satirico “Farfariello”. Le sue rappresentazioni rispecchiavano bene il mondo della comunità di immigrati italiani a cavallo del secolo, e ho pensato che fossero un modo molto perspicace e diverso di descrivere i primi arrivati - ma non sono riuscito ad inserire la scena nella versione finale del film.
Esiste anche un libro tratto dal documentario, scritto da Maria Laurino …
Sì. Ho conosciuto Maria durante la realizzazione del film. Lei ha una grande esperienza su questi temi e sono molto contento che sia lei ad aver scritto il libro, che segue sostanzialmente il film capitolo per capitolo e poi approfondisce un po’ di più gli ultimi capitoli, descrivendo gli anni contemporanei. Maria ha fatto un ottimo lavoro, e spero che il libro sarà tradotto anche in italiano.
Sappiamo che dal tuo documentario verrà tratto anche un programma formativo...
Sì, sicuramente. Noi e Pbs metteremo insieme il programma, credo per scuole medie e scuole superiori, he sarà a loro disposizione su internet: così ci sarà una grande presenza sul web, con contenuti a disposizione degli insegnanti che potranno scaricare i materiali, le guide di studio, i libri e anche altre cose. La speranza è di far circolare questi contenuti nelle scuole il più possibile, perché l’italiano è una delle lingue insegnate in America e vogliamo contribuire ad aumentarne ulteriormente l’insegnamento portando più materiale nelle classi americane.
La parte dedicata a Mario Cuomo è molto interessante ed emozionante. Pensi che gli Stati Uniti avranno mai un presidente italoamericano? E più in generale, quali i cambiamenti vorresti vedere nella comunità italoamericana con la finalità di essere più uniti, e quindi più forti?
Non credo che oggi ci sia un reale ostacolo per la possibilità di avere un presidente italoamericano. Giuliani si è candidato e non sembra che il fatto di essere Italiano lo abbia rallentato – la sua sconfitta è dovuta ad altri motivi. Penso che qualsiasi altro italoamericano che si candiderà sarà descritto anche con molti degli stereotipi che ci hanno afflitto in passato, ma credo che dopo Kennedy che fu il primo presidente cattolico e Obama che è stato il primo presidente afroamericano, anche un Italiano può vincere. Penso che Mario Cuomo sarebbe stato un grande presidente - era un uomo di grande carattere e di grandi ideali. Ha incarnato l’esperienza degli emigrati italiani in questo Paese - e penso che questo avrebbe fatto di lui uno dei più grandi presidenti della nostra storia. Purtroppo credo che la sua italianità lo rallentò, in un certo senso. Sia in modi semplici da individuare e di grande risonanza, come il modo in cui fu trattato dalla stampa quando sembrava si potesse candidare e anche dopo – ingiustamente accusato di connivenze con la mafia; ma anche nelle piccole cose, come il suo desiderio di rimanere vicino a casa e mantenere un cerchio di frequentazioni intimo e chiuso. Non sono sicuro che questi stessi tratti ostacolerebbero un italoamericano che volesse candidarsi oggi - mi piace pensare che gli italoamericani siano più accettati e meno stereotipati dalla opinione pubblica americana odierna: ma lo sapremo solo quando vivremo questa situazione. E’ certamente interessante comprendere questo tema, nella descrizione dell’esperienza italoamericana, e ho pensato che per farlo fosse fondamentale esaminare la storia di Mario Cuomo. Quanto a come unificare la nostra comunità, credo che per farlo sia importante capire la nostra storia: e ciò comporta anche l’analisi delle cose più difficili da affrontare. Dobbiamo parlare della nostra storia e accettarla nel suo complesso, senza negare o rifiutare di conoscere le parti più negative. Penso che molto di ciò che è stato fatto in questo campo è stato realizzato in maniera un po’ troppo nostalgica. Spero che il mio film aiuterà a descrivere ancora meglio e in maniera definitivamente attinente alla realtà alcuni miti e stereotipi, mostrando la vera storia degli italoamericani. Spero che questo contribuirà al processo di unificazione della nostra comunità.
di Umberto Mucci