D’Annunzio: manuale del “rivoluzionario”

giovedì 28 agosto 2014


La fantasia al potere, attraverso una critica del potere stesso, la porterà certamente Gabriele D'Annunzio (e non certo i figli di papà del ‘68 italiano), il Vate della letteratura italiana per eccellenza, il poeta armato, l’eroe dell'impresa di Fiume e che fece della città di Fiume – occupata con soli 1500 uomini e senza sparare un colpo – una città libera e liberata. Gabriele D'Annunzio fu, secondo le parole di Lenin, l’unico rivoluzionario dell’Italia dei suoi tempi e da molti fu considerato un novello Giuseppe Garibaldi, per il suo ardimento e per la sua portata socialisteggiante, dagli echi mazziniani e garibaldini.

Ce ne ha parlato a lungo lo storico Giordano Bruno Guerri, ma ce ne parla diffusamente – proprio attraverso gli scritti e i discorsi di D’Annunzio stesso – il “suo” “Manuale del Rivoluzionario”, a cura di Emiliano Cannone ed edito dalla Tre Editori. Un bellissimo saggio che abbiamo scoperto e che desideriamo far conoscere e diffondere. Un manuale che, non a caso, reca in copertina un D’Annunzio nei panni di Lenin, contornato da bandiere rosse nell’atto di prendere d’assalto il palazzo d’Inverno.

Il palazzo d’Inverno di D’Annunzio fu il potere, la casta politica, il governo di Nitti, di Vittorio Emanuele Orlando e di Giolitti, ovvero dei parrucconi della sua epoca. Ma il palazzo d’Inverno di D’Annunzio fu anche l’avanzante fascismo e quel Mussolini che cercò, in tutti i modi ma senza riuscirvi, di zittire il Vate.

Nel testo è rappresentata tutta l’anima anarchica, socialisteggiante, libertaria, antiparlamentare e internazionalista di D’Annunzio che, non a caso, dichiara che egli aspira a un “comunismo senza dittatura” e che – ben prima e meglio di altri – lancerà invettive contro la “casta politica”, dichiarando, fra le altre cose: “La casta politica che insudicia l’Italia da cinquant’anni, non è capace se non di amministrare la sua propria immondizia, pronta a tutte le turpitudini, pur che sia lasciata fingere di godersi il suo potere impotente”.

D’Annunzio, in questo senso, fu un eroe (anti)politico e, dunque, un eroe della vera democrazia, contro i soprusi e le ruberie del potere e in questo senso non mancherà mai in D’Annunzio il suo appello all’antica Grecia, al mito greco, all’arte e dalla bellezza in tutte le sue forme, quale valori fondanti per l’emancipazione umana. In questo senso egli scorgerà la natura della crisi dei suoi tempi, che poi è anche la natura della crisi economica e sociale dei nostri, ravvisando l’origine del problema nell’espansionismo capitalistico e nell’imperialismo anglosassone e statunitense, ovvero di coloro i quali egli definisce i “divoratori di carne cruda”. A tal proposito D’Annunzio scrive: “La lotta mercantile, la lotta per la ricchezza, porta il pericolo delle più terribili conflagrazioni marziali”.

Ora sappiamo che fu profetico e nelle sue parole non possiamo non scorgere quanto avvenne nella Seconda guerra Mondiale, durante la Guerra fredda e, oggi, nel Medioriente martoriato e dove non vi sono eroi, bensì criminali che uccidono, in ogni dove, vittime innocenti.

Ricchezza e potere all’origine della morte dell'umanità stessa, dunque. Con l'impresa di Fiume possiamo dire che il D’Annunzio concretizzerà i suoi ideali e i suoi principi. Nel 1919, infatti, in opposizione al trattato di Versailles che negava la città di Fiume all’Italia, D’Annunzio – alla testa di un drappello di legionari – la occupò e ne fece una città libera in tutti i sensi, al punto che a Fiume erano tollerate e praticate le libertà sessuali, nonché era tollerata l’omosessualità e, grazie al contributo dell’aviatore Guido Keller e dello scrittore Giovanni Comisso, fu fondato il gruppo Yoga – avente per simbolo la svastica di origine vedica (che nulla aveva a che spartire con il nazismo, anzi) e una rosa a cinque petali, che proponeva una visione esoterica e spirituale della realtà.

Tra l’altro, in collaborazione con il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, D’Annunzio redasse la famosa Costituzione di Fiume o Carta del Carnaro, la quale fu un documento avanzatissimo per l’epoca, prevedendo: libertà di associazione, libertà di divorziare, libertà religiosa e di coscienza al punto che furono proibiti i discriminatori crocifissi nei luoghi pubblici, assistenza ai disoccupati e ai non abbienti, promozione di referendum, promozione della scuola pubblica, risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario, inviolabilità del domicilio e altro ancora che, peraltro, non fu mai garantito nemmeno dalla Costituzione della Repubblica italiana partitocratica, fondata nel 1948. Una Costituzione tanto decantata, ma assai poco approfondita e che poco aveva a che spartire con la vera democrazia della Repubblica romana del 1849 e con la Carta del Carnaro, fondata da spiriti rivoluzionari e non già da canuti uomini politici, servi dei partiti e delle ideologie e che il potere ha reso schiavi.

Un’impresa unica nella storia quella di Fiume, soffocata dall’imperialismo internazionale e dal Governo italiano di Giovanni Giolitti (tutt’altro che un liberale, bensì un famoso ministro della malavita come lo soprannominò Gaetano Salvemini) che, nel 1920, inviò le truppe italiane a sgomberare a cannonate i legionari.

Da non dimenticare frasi come queste, contenute nel “Manuale del Rivoluzionario”, che D’Annunzio lancia quali invettive ai governanti dell'Europa e del mondo di ieri, non dissimili da quelli di oggi. Frasi oggi attualissime, se osserviamo la geopolitica mondiale, europea, oltre che i flussi di migranti che approdano sulle nostre coste, costretti a emigrare a causa di una crisi voluta dai Governi e dal sistema economico-monetario: “In tutta Europa, in tutto il mondo, il potere politico è al servizio dell'alta banca meticcia, è sottomesso alle impostazioni ignobili dei rubatori e dei frodatori costituiti in consorzi legali. Neppure nel peggior tempo dei barbareschi e dei negrieri le genti furono mercanteggiate con così fredda crudeltà. Le nazioni sono cose da mercato. La vita pubblica non è se non un baratto immondo esercitato nel cerchio delle istituzioni e delle leggi esauste. Fino a quando ?”.

Il “Manuale del Rivoluzionario”, che raccoglie gli scritti anarco-libertari, socialisti, internazionalisti e umanitari di D’Annunzio, è certamente una fortunata opera editoriale e il merito va certamente all’ottimo Emiliano Cannone, giovane dottore di ricerca in Italianistica, per averlo curato con un’ottima nota introduttiva e precise note a piè di pagina.

La veste editoriale del saggio, poi, curata dalla Tre Editori, è elegantissima, anche a dispetto dell'economico prezzo di copertina. Da notare che, la fine di ogni capitolo del “Manuale”, reca il simbolo della bandiera della reggenza del Carnaro: un uroboro – ovvero un serpente che si morde la coda – antico simbolo esoterico e gnostico a rappresentare la natura ciclica delle cose, ovvero simbolo di immortalità (Gabriele D’Annunzio fu iniziato alla massoneria della Serenissima gran loggia d'Italia, oggi Gran loggia d’Italia e non ne fece mai mistero), con al centro le sette stelle dell’Orsa maggiore.

Ulteriori spunti su cui riflettere e approfondire attorno a un personaggio poliedrico quale fu Gabriele D’Annunzio, troppo frettolosamente relegato fra i “poeti del nostro Paese”, senza rammentarne (o preferendo piuttosto oscurarne) la portata rivoluzionaria, libertaria, (anti)politica e (contro)culturale.


di Luca Bagatin