Disfatta di Caporetto in due volumi

mercoledì 28 maggio 2014


L’impressione è poderosa. Due volumoni, un cd, 50 pagine d’introduzione, quasi mille pagine fra testo, tavole, carte geogra-fiche. Il titolo parla da solo: Dall’Isonzo al Piave. È la relazione della commissione d’inchiesta che fu istituita con regio decreto nel gennaio 1918, per indagare su “Le cause e le responsabilità degli avvenimenti dall’Isonzo al Piave”, ossia dallo sfondamento austro-germanico verso Caporetto, alla difesa a oltranza attuata sulla riva destra del Piave. Tutto, fra il 24 ottobre e il 9 novem-bre 1917. Fu allora, e permane nell’immaginario collettivo, la più grave sconfitta patita dall’Italia unita. Venne, però, una for-midabile capacità di tenuta prima e di ripresa, poi: un anno di conflitto, e si giunse all’armistizio segnante la vittoria, dopo che era stato palese che avrebbe vinto colui che più dell’avversario fosse durato.

La commissione d’inchiesta lavorò fino al giugno 1919, tenendo quasi 250 sedute. Produsse una relazione finale, pubblicata in due volumi, il primo dedicato a un “Cenno schematico degli av-venimenti”, il secondo a “Le cause e le responsabilità degli avvenimenti”. Sono i due tomi che, meritoriamente, l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito oggi ripropone, fornendo uno strumento prezioso agli studiosi (o anche ai semplici interessati) di storia, e di storia militare in ispecie. La cura dell’opera è stata affidata al Capo dell’Ufficio storico, il colonnello Antonino Zarcone, e allo storico Aldo A. Mola. Il primo studioso stende la sezione della prefazione intitolata “Da Caporetto a Vittorio Veneto”, il secondo l’altra sezione, “Come una grande battaglia perduta nella Grande Guerra infine vinta divenne sinonimo di morbo congenito”. Al professor Mola abbiamo posto alcune do-mande.

Era necessario riprodurre due simili corposi tomi, che a qualche maligno darebbero l’impressione di un poderoso “mattone”?

Da tempo l’Inchiesta su Caporetto era irreperibile anche nelle biblioteche pubbliche meglio fornite. Però viene spesso citata, di seconda e terza mano, da “studiosi” che la menzionano come capo d’accusa contro i militari, la monarchia, lo Stato. Nel centenario della Grande Guerra sono pubblicate cartoline, lettere, cianfrusaglie. Meglio riportare all’attenzione opere che hanno fatto la Storia, documenti frutto di lunghe indagini, com’è appunto l’Inchiesta.

Ci fu un responsabile unico di Caporetto?

In guerra si perdono battaglie. L’importante è la vittoria finale. Nella Grande Guerra l’Italia infine vinse. A Caporetto persero in molti, a partire da Cadorna, che non impose a Capello e a Badoglio di arretrare le difese e non capì che gli austro-germanici, liberi sul fianco della Russia, stavano davvero per scatenare l’inferno. Travolgere l’Italia prima dell’inverno voleva dire chiudere la partita prima che gli Stati Uniti gettassero sulla bilancia il peso della loro immensa forza economico-militare. Ma chi si rivelò al di sotto della sua parte fu il governo: il presidente Paolo Boselli e soprattutto il ministro degli esteri, Sidney Sonnino, il quale del corso della guerra comprese poco. Ancora nel 1918 era convinto che l’Impero asburgico sarebbe sopravvissuto alla sconfitta.

Fu un errore avviare l’inchiesta?

Fu una tragedia. Non si mette sotto inchiesta l’Esercito mentre combatte. L’8 novembre 1917, quando la ritirata si era già mutata in “battaglia d’arresto” sul Piave, re Vittorio Emanuele III spiegò a Peschiera quel che l’Italia aveva e avrebbe fatto, con Armando Diaz al Comando supremo. L’Inchiesta fu una follia, come la condanna a morte degli ammiragli che avevano perso la battaglia navale alle Arginuse: Socrate votò contro. Un Paese se-rio non mette sotto inchiesta chi combatte. Fa quadrato, come indicò Giovanni Giolitti (dipinto come neutralista o addirittura pacifista dai male informati) nel suo intervento alla Camera dopo Caporetto.

Le conclusioni erano sbagliate?

Sì, perché misero alla gogna i “militari” ed elusero le responsabilità gravissime dei governi (Salandra e Boselli), che non con-trastarono il pacifismo peloso né dei cattolici, avallati da papa Benedetto XV (che definì la guerra “inutile strage”), né dei socialisti (“non un altro inverno in trincea”), come deplorato da Cadorna in ben quattro lettere al Governo, rimaste senza risposta. Ma il vero assente fu il Parlamento. Il primo eletto a suffragio universale maschile, a conferma che il diritto di voto non è tutto.

Chi ringraziare per quest’opera, prima confinata in biblioteche e di difficile reperibilità antiquaria?

Anzitutto, l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, che si sta prodigando per documentare la Grande Guerra. In secondo luogo, alcune realtà “di provincia” ma molto sensibili alla “grande storia”. È il caso della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, presieduta dal professor Giovanni Rabbia, che già ha sorretto la pubblicazione dei cinque volumi Giovanni Giolitti al Governo, in Parlamento, nel Carteggio e di Mussolini a pieni voti. E poi il Centro Giolitti di Dronero/Cavour e l’Associazione di Studi sul Saluzzese.

Quali novità propone questa edizione per la storia militare?

Il Capo dell’Ufficio Storico dello Sme, colonnello Antonino Zarcone, esamina con maestria l’anno dalla “rotta di Caporetto” alla battaglia del Solstizio e all’offensiva italiana conclusa con Vittorio Veneto e la resa dell’Impero austro-ungarico. Documen-ta che l’Italia fece quasi tutto da sola. Vinse per sé e per gli “alleati”, che però non mostrarono molta gratitudine. Mentre dila-gava la polemica sulla “vittoria mutilata”, l’Inchiesta buttò benzina sul fuoco. Il col. Zarcone lo spiega anche nell’importante, documentatissima biografia del generale Roberto Segre, ora edita dall’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito. L’Inchiesta fu un’opera per molti versi agghiacciante (vi si dà conto dell’azione dei tribunali militari, di condanne a morte, esecuzioni, decimazioni, repressione sanguinosa di ammutinamenti), ma è anche “pedagogica”. Bisogna leggerla per capire che cosa fu la “Guerra della Nazione”: formula di Aldo G. Ricci. Sia pure a caro prezzo, l’Italia ne uscì vittoriosa, mentre quattro imperi sprofondarono. Auspico che la ripubblicazione dell’Inchiesta stimoli gli studiosi ad affrontare l’ingente docu-mentazione raccolta dalla Commissione quasi un secolo addietro ma tuttora pressoché inesplorata.


di Marco Bertoncini