Centocinquant’anni di Socialdemocrazie

giovedì 15 maggio 2014


“Come mai la socialdemocrazia italiana, pur avendo pienamente sposato la causa democratica, non ha mai compiuto un’operazione Bad Godesberg sul modello dell’Spd tedesca? E come mai un uomo come Saragat, consapevole dei limiti del marxismo, non ha investito di più nella diffusione, in Italia, della vera cultura socialista democratica, da Bernstein agli intellettuali laburisti e fabiani britannici, agli economisti svedesi della Scuola di Stoccolma anni Trenta, e agli stessi austro-marxisti?”.

Con quest’interrogativo di base, pur da angolazioni diverse, Franco Ferrarotti, “Decano” dei sociologi italiani, premio per la Sociologia 2001 dell’Accademia dei Lincei, e Luciano Pellicani, docente di Sociologia politica alla Luiss di Roma, hanno presentato, presso la sede nazionale della Uil in via Lucullo, il libro di Giuseppe Averardi (parlamentare in pensione, già membro della direzione dello storico Psdi di Saragat e autore di vari saggi di storia contemporanea): “Socialdemocrazia – L’altra voce dell’Europa” (Roma, Data News edizioni, 2014, pp. 327, € 20).

Una carrellata su centocinquant’anni di storia delle socialdemocrazie europee, con speciale attenzione ai risultati dei loro lunghi periodi di governo: dalla Svezia (1932-1976 e 1982-2006) all’Austria (1918-20 e poi 1970-1986); dal Regno Unito, con la grande svolta impressa dal “New Labour” di Blair, alla Germania, dove centrale resta, nella storia dell’Spd e di tutta la democrazia europea, la storica “resa dei conti” col marxismo fatta a Bad Godesberg nel 1959.

“Un’operazione analoga a quella di Bad Godsberg - ha rilevato ancora Ferrarotti - in Italia in realtà fu compiuta negli anni Settanta, con l’azione delle storiche testate d’area riformista, come Ragionamenti (attivo già a metà anni Cinquanta, insieme al quotidiano socialdemocratico “L’Umanità”), Mondoperaio, col suo circolo culturale, Critica Sociale e Tempo presente. Ma era tardi, perché un’operazione del genere, pur positiva, potesse incidere a fondo sulla cultura popolare italiana di sinistra”.

Angelo Sabatini, presidente della “Fondazione Giacomo Matteotti”, già direttore di “Tempo presente”, ha evidenziato le analogie tra l’iter politico-culturale di Averardi, ex-comunista approdato alle sponde socialdemocratiche con l’“indimenticabile ‘56”, e quello di Ignazio Silone, spinto a cercare la celebre “Uscita di sicurezza” dalla consapevolezza dei gravi limiti morali, oltre che culturali, del comunismo marxista. Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, ha sottolineato l’indispensabilità, per una socialdemocrazia del duemila che voglia tornare a guidare veramente le società europee, di ripensare se stessa in termini nuovi, dinanzi allo “tsunami” della globalizzazione che sconvolge la forma Stato e tutte le categorie politiche tradizionali.


di Redazione