Il corrosivo romanzo di Camilla Baresani

sabato 12 aprile 2014


Camilla Baresani pubblica per le Edizioni Bompiani il suo ultimo libro “Il Sale Rosa dell’Himalaya”, perfetta allegoria della stupidità di questi… “tempi moderni”. Non l’operaio-macchina, ma qualcosa di molto più allarmante e sottile. Una pestilenza invisibile che si annida nel semi-Avatar di cui, ormai, è intrisa la personalità semidigitale di tutti noi.

Ecco, la scoperta è davvero imbarazzante e ci viene offerta ex-post (a partire dall’epilogo della vicenda) da un sensibilissimo colonnello informatico della Guardia di finanza, al quale era stata affidata la deflorazione della realtà virtual-digitale (smartphone; I-pad; pc) della vita personalissima di Giada, la protagonista. Mani esperte violano le sue mail, gli sms, i numeri chiamati, tutti i files, più o meno riservati, custoditi in quelle capaci memorie. Perché quando ci si sperde, o si scompare, la donna e l’uomo moderno, “digito dotati”, lasciano una lunghissima sequenza binaria di “zero-uno” che pazienti software, spioni e hacker di ogni tipo sanno sapientemente segmentare. Il tutto per ridare una logica umana a quel lunghissimo nastro di Touring in cui sono racchiusi frasi, suoni e immagini della nostra vita virtuale. La cosa incredibile, come ci fa scoprire con sapiente maestria la Baresani, è che, con quel “nastro”, si può impiccare la pura verità, perché, in fondo, “Dio acceca coloro che vuole perdere”!

Allora, veniamo alla trama del racconto giallo-ocra, come certe terre di Siena, che servono per la costruzione di dipinti e affreschi. E questo della protagonista è un davvero un murales disegnato da Hieronymus Bosch. Si scorgono, infatti, in uno scenario confuso, del tutto paradossale, gruppi di demoni, dai tratti deformi del volto e della figura, tutti intenti, dopo essersi disfatti delle loro maschere di perbenismo, a partecipare ad un sabba maniacal-compulsivo, in cui il sesso pensato si mescola all’orgia del potere. Al centro della scena domina l’albero della Bramosia, dal tronco esageratamente largo, che offre agli sprovveduti i suoi frutti dionisiaci ed effimeri del successo a ogni costo, dove allignano e si ramificano, in ogni direzione, i tradimenti, i furti di fiducia e le false identità (o “Falso Se”, in termini più freudiani!). E sì, perché mentre la protagonista scivola in un dramma sconvolgente (viene rapita e fatta schiava sessuale, con orribili umiliazioni, da due balordi slavi che vivono ai margini dell’opulenta Milano “da bere”), tutti coloro che dovrebbero cercarla, preoccupandosi per la sua prolungata scomparsa, non fanno altro che aggiungere immagini, scene e personalità immaginarie al murales enigmatico di Hieronymus.

Ciò che accade, infatti, è paragonabile a un ponte tibetano sull’abisso, in cui le corde oscillano furiosamente al passaggio dei viaggiatori, ognuno perso in un suo esclusivo “Miroir”, dove la contro immagine di Narciso gioca a moscacieca con il Pifferaio Magico, che imbraccia una minitelecamera, al posto del più famoso strumento incantato di perdizione. Perché questo ci dice e ci insegna “Il Sale Rosa”: anziché cercare la verità, per banale e scontata che essa sia (nel caso di specie, un rapimento per scopi abietti, cioè un atto di pura, demenziale criminalità), la maggior parte delle comparse dell’affresco di Bosch tendono ritagliarsi un ruolo protagonista. Ed è così che persone, apparentemente “normali”, partoriscono, a misura della loro perversa fantasia, un’immagine aberrante della loro amica, parente, collaboratrice, figlia e sorella scomparsa. Tutto per ritagliarsi, a spese della vittima, un momento di celebrità centellinando dettagli fuorvianti (come quello sulla presunta ludopatia di Giada, nella versione allarmata della sua colf!), per far sì che le feroci correnti mediatiche, originate da programmi in prima serata e dai titoli di prima pagina dei grandi quotidiani - a proposito della scomparsa di Giada - le spingano sull’Isola della Celebrità, dove la polvere magica del Campanellino hertziano darà loro quelle ali per volare che non hanno.

Altrettanto crudo, come gli umori e gli odori penetranti del bosco, in certi giorni d’estate, è il racconto spietato, ricco di risvolti particolarmente amari, dello smarrimento degli inquirenti. Un magistrato che spera di costruirsi un trampolino di lancio per la carriera e per l’ingresso in politica (vi ricorda qualcuno?), sfruttando il caso di Giada, attraverso rivelazioni a orologeria che, guarda caso, non fanno altro che aggiungere particolari deformi alla personalità della vittima. Per non parlare di quegli investigatori in divisa che, nel corso di troppi, lunghi giorni passati a formulare e verificare congetture insignificanti e inesistenti, partendo da dati di fatto praticamente nulli, spendono tutto il loro prezioso tempo ad ascoltare decine e decine di Narcisi allo Specchio, e che si trovano, di conseguenza, completamente spiazzati dalla conclusione del dramma?

E che dire di quelle bellissime analisi della protagonista, ridotta in schiavitù, che trova l’immane forza per non lasciarsi andare, per dipingere nello scenario oscuro di un ambiente immondo, ostile, un suo personalissimo paradiso terrestre, con lei stessa nel ruolo di semidea, pronta a conquistare questo mondo delle apparenze?

Affascinante, poi, è la trattazione per nulla elaborata, da animale braccato e indifeso, dei rapporti tra la reclusa, violentata più volte al giorno, senza freni inibitori dai suoi carcerieri, e i personaggi infimi dei suoi rapitori, giganti del male senza averne coscienza alcuna. Uomini invisibili, storditi dall’abbrutimento dell’alcool di pessima qualità, dalla mancanza di cibo e da un habitat totalmente degradato, in cui i bisogni si fanno dove capita e, in particolare sul pavimento di quella lurida baracca, così come capita alla loro povera vittima, legata con spezzoni di fil di ferro alle estremità e impossibilitata a muoversi. Eppure, eppure… Nel libro, nelle tre ultime pagine, prima della fine, qualcosa di imperscrutabile (ricordate de André e quel suo passaggio “dal letame nascono i fior…”?) accadrà, in modo tale da sconvolgere per sempre la vita della protagonista. Forse, cara Camilla, vuoi dirci che nemmeno questa perversa, incosciente umanità riuscirà a distruggere al vita su questa Terra, che Madre Natura ha regolato senza di noi, per miliardi di anni?


di Maurizio Bonanni