Teatro dei Conciatori, un amore diverso

giovedì 24 ottobre 2013


L’amore di una madre, si sa, a volte può essere stringente come le spire di un boa. E, poco importa, se le penne siano di struzzo. L’effetto soffocante è comunque e sempre garantito. Così, al Teatro dei Conciatori (fino al 27 ottobre), Luca dei Bei mette in scena un’originale e assai divertente commedia degli equivoci, “Al nostro amore” (Happy hour), deliziosamente interpretata, senza pause né interruzioni, dagli attori Pia Lanciotti (la “madre”) e Fabrizio Apolloni (nel “lui”, l’amico “speciale” del figlio di lei, Andrea).

In uno scenario sobrio, dai colori accesi, ma ben armonizzati, il primo piano è impegnato, non senza leggerezza, da un lungo e spesso bancone di un bistrò, con il piano di appoggio rialzato ad altezza d’uomo, in cui sono allineati, come tanti soldatini, drink di varia natura e misura, per due persone. Nel locale si diffonde la musica da piano bar, che fa da colonna sonora ai dialoghi, sempre misurati e mai su toni alti e affaticati, che fanno della recitazione di coppia una sorta di danza primigenia, in cui si avviluppano fumi d’incesto, con brani di omofilia, senza velature.

Perché, fin dalle prime battute, la sfera di ambiguità, di un incontro tra una donna e un uomo all’apparenza coetanei, si dissolve rapidamente. Lei, bella, ricca e seducente, ha invitato “lui”, l’amante ultraquarantenne e amico del figlio ventenne, Andrea, per cercare di allontanare da sé il pericoloso rivale affettivo, usando tutti gli strumenti della sua arte seduttiva e, in definitiva, più propriamente corruttiva, nel senso venale del termine.

L’impianto scenico prevede un copione denso di annotazioni da analista freudiano, in cui i caratteri materni hanno la forza disperante dell’adulta che, fin dall’infanzia, si accorge e tende a negare, con tutte le sue forze, l’esistenza di un “doppio”, per lei atroce, nella persona del figlio. Il sesso maschile del bimbo, infatti, nella sua evoluzione verso l’adolescenza e, poi, agli esordi dell’età adulta, contrasta in modo sempre più progressivo e marcato, con il netto pronunciamento di una personalità tutta femminile. Nei giochi tra la sabbia, Andrea sviluppa e dà corso alla sua morbosità sessuale “tirando giù le mutandine ai maschietti”, mentre qualche anno più tardi, picchierà con violenza le compagne di classe, meritandosi ripetuti richiami del preside.

E “lei” assisterà a tutte le fasi della schiusura di quella crisalide della scissione sessuale, che culminerà con la scoperta eclatante -rientrando in anticipo da un impegno mondano - del rapporto omosessuale esplicito del figlio con un suo coetaneo. Tutto, in apparenza, viene tollerato e metabolizzato, da una sostanza materna che non si rassegna a quella doppia natura, inconcepibile, in fondo, per la normalità eterosessuale di una donna sposata e, poi, divorziata, che vive nel mondo ovattato della borghesia ricca, spendacciona e viziata.

Così, procede, con determinazione tutta femminile, alla destrutturazione ancora più pronunciata - anche se palesemente involontaria - della personalità del figlio, avvolgendolo nelle spire del lusso e della deresponsabilizzazione. Nel racconto della madre all’amante del figlio (entrambi, progressivamente, sempre più alticci e malfermi nelle gambe), la descrizione si sofferma sui dettagli di cabine armadio gigantesche - i cui volumi rivaleggiano con un mini-appartamento -; su regalie di moto e macchine di grossa cilindrata (per fingere di cedere al ricatto affettivo); su piscine curate fino all’inverosimile; sui caratteri della servitù e quant’altro venga utile, nel discorso, per approfondire il solco di status, tra un professore universitario fallito e il suo mondo alto borghese.

Tra loro due si svolge, a latere, un’interessante lotta di classe, pur all’interno dello stesso schieramento di fasce medio alte del benessere e dello status sociale privilegiato, che si muovono sulla superficie, come spuma nel lago, di acque, in apparenza chete, sconvolte in profondità da fortissime correnti sentimentali ed emotive, tutte legate all’orgoglio di un’omosessualità coscientemente rivendicata. “Lui”, il prof, che parla della propria solitudine, alla ricerca di un rapporto affettivo duraturo e stabile, lontano anni luce dal mondo dissoluto descritto, ad esempio, in pellicole come le “Fate ignoranti”.

Lo spettacolo è, in fondo, una voluta lezione per gli “etero”, intendendo mettere in luce, dal punto di vista dell’opera teatrale, la perfetta coincidenza tra una coppia gay “sana” e il suo omologo eterosessuale. È il professore a difendersi, con successo e onestà, dalle mille trappole di una madre ossessionata dal rischio di abbandono di un figlio, rimasto, in pratica, senza padre (per sua propria scelta, in fondo: Andrea si impegna a far durare una vita intera una ripicca per un presunto torto subito dal padre) e, quindi, privo di una solida figura maschile di riferimento.

Ma è proprio, come capita spesso, nel dover contemperare e surrogare entrambi i ruoli genitoriali, che la donna cade di errore in errore, come quando spinge il proprio figlio nella braccia di una sua coetanea, sperando in un assai improbabile “swicht-off” dei gusti sessuali di Andrea. Il finale, poi, è una vera sequenza di fuochi d’artificio che, in fondo, da un’attenta lettura degli accadimenti precedenti e della giovane età del ragazzo, si potevano pienamente presagire. Spettacolo vivamente consigliato, e strettamente per.. adulti!


di Maurizio Bonanni