Napoli, un dedalo di antichi chiostri

sabato 19 ottobre 2013


Voglio ora ricordare una serie di chiostri, forse minori, ma a me particolarmente cari perché legati alla mia vita universitaria e alle lauree e specializzazioni che ho conseguito in 45 anni di studio. Partiamo da quello di Sant’Andrea delle Dame con le palme più alte della città, che sembrano arrivare al cielo. Fondato sul finire del Cinquecento, fu al centro di dispute tra religiosi, perché sconfinò in un’area maschile… dei monaci di San Gaudioso.

Con la soppressione francese vi fu una prima chiusura, ma le suore poterono tornare a seguito del Concordato del 1818 tra Pio VII e Ferdinando I, fino alla chiusura definitiva del 1864 quando il complesso fu trasformato in sede di alcune cliniche universitarie. Il chiostro del Salvatore, meglio noto come Cortile delle Statue per le numerose sculture di personaggi illustri poste sotto le arcate, fu realizzato alla fine del XVI secolo dai Gesuiti che crearono una grossa struttura da dedicare al Collegio per i Novizi, inglobando anche edifici vicini. Nel 1773, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, venne destinato prima a Real Liceo Convitto e dal 1777 a sede universitaria e della sua importante biblioteca. Il chiostro di San Pietro Martire nasce da un restauro voluto dai Domenicani nel 1557 che completò in tal modo la trasformazione dell’antica struttura gotica dedicata a San Domenico, sorta tre secoli prima, iniziata nel secolo precedente a seguito di un incendio nel 1423 e di un terremoto nel 1456.

Dopo la peste del 1656, il monastero di San Pietro Martire divenne punto d’incontro di nobili, magistrati e artisti che mettevano in scena commedie per un pubblico qualificato. Nel 1818 Giuseppe Napoleone lo adibì a fabbrica di tabacchi, destinando le celle dei monaci ad abitazioni per gli operai. Con tali finalità funzionò fino al 1961 quando, acquistato dall’Università, fu destinato a sede di alcune facoltà umanistiche tra le quali Lettere moderne. Prima di parlare di alcuni chiostri famosi, un cenno a quello di Poggioreale, situato all’interno dell’omonimo cimitero, che rappresenta un raro esempio di architettura claustrale di gusto neoclassico.

È di grandi dimensioni: 126x102 metri con oltre cento colonne di travertino in stile dorico che conferiscono alla struttura un aspetto suggestivo. Realizzato da Ferdinando II dopo il decennio francese, è dominato al centro da un’imponente statua di Tito Angelini raffigurante la Religione. Situato a Largo San Marcellino, sede dal 1907 di alcuni istituti universitari, il chiostro del monastero dei Santi Marcellino e Festo nacque nel 1565 in seguito alla riunificazione dei due conventi, l’uno basiliano, l’altro benedettino. Vi sorgono due belle fontane, la prima con quattro teste di cane scolpite nella pietra, la seconda, situata al centro di un altro piccolo chiostro, nota come Fontana dei Delfini.

Oltre ai locali destinati agli studi universitari, di grande effetto è il Museo di Paleontologia al cui ingresso si può ammirare una splendida pavimentazione in maiolica del Settecento. Il complesso conventuale, oggi sede dell’Archivio di Stato, racchiude uno dei chiostri più antichi della città, risalente al X secolo, detto dei Platani perché, secondo la leggenda, lo stesso San Benedetto vi gettò dei semi per dar luogo ad un bosco e fino al 1959 vi si poteva ammirare l’ultima pianta secolare coeva alla vita del Santo. Il chiostro è molto visitato perché conserva un magnifico ciclo di pittura murale risalente al periodo aragonese, con scene di vita quotidiana alternate a fatti miracolosi.

Sin dai primi episodi descritti si nota una cura minuziosa del dettaglio, frutto di uno stile tendente al naturalismo. Per gli affreschi è stato proposto il nome del Solario, almeno per i primi tre: dal successivo, il calo di qualità fa presupporre una collaborazione della bottega. Per la grande bellezza delle decorazioni e l’aerea spaziosità, verso la fine del Cinquecento fu destinato a giardino e vi rimase per pubblico godimento fino al 1835, quando Ferdinando II lo destinò alla funzione attuale e per l’occasione vi fu collocata al centro una statua di Michelangelo Naccherino raffigurante la Teologia.

Concludiamo il nostro tour con i chiostri del complesso conventuale di San Martino, sorto per volontà di Roberto d’Angiò, i cui lavori si protrassero per 50 anni e si conclusero regnante Giovanna I. Collocato sulla collina più alta della città, da esso si può ammirare uno splendido panorama, dal Vesuvio alle isole del golfo, fino ad intravedere le campagne che portano a Caserta. In origine vi era solo un grande chiostro, adibito ad orto per un’economia di autonoma sussistenza e per la coltivazione di erbe mediche. In seguito, sul finire del Cinquecento, si diede luogo a lavori di ampliamento e alla realizzazione di altri tre chiostri minori. Come autore alcuni studiosi hanno avanzato il nome di Cosimo Fanzago mente altri, sulla base di un documento del 1591, ritengono che la paternità del progetto sia di Giovan Antonio Dosio la cui opera sarebbe stata proseguita da Gian Giacomo Di Conforto.

Il nuovo chiostro fu ridotto nelle dimensioni e sotto i portici si realizzò uno splendido pavimento mentre le statue a figura intera di San Martino e San Bruno, collocate su basi di bardiglio sulla balaustra, giocano un efficace contrasto con i busti che escono dalle nicchie di marmo poste sulle porte gemelle, espressioni di un momento di felicità artistica del Fanzago. Di età manierista la spettacolare cisterna, capolavoro di ingegneria idraulica. A nord est del chiostro si ammira il Cimitero dei Certosini, sempre opera del Fanzago, con teschi e ossa legati da nastri, motivo ricorrente del Seicento napoletano. Dalla chiesa, prima di arrivare al chiostro grande, si attraversa il piccolo chiostro dei Procuratori, capolavoro del Dosio. E qui ci fermiamo per non trasformare un articolo in un saggio, rinviando a chi volesse approfondire l’argomento all’aureo libretto di Maria Rosaria Costa, che ha costituito per noi una valida bussola.


di Achille della Ragione