Varano e l'arte cantano il Rubycone

mercoledì 16 ottobre 2013


La frenetica ricerca dei moderati si complica nelle difficoltà di definirne la tipologia. Un tempo venivano indicati come benpensanti ed era chiaro chi fossero: conformisti adattati all’opinione dei più. Benpensanti contro disobbedienti. Nel mondo globale, però, il modello è disubbidienza e anticonformismo: i benpensanti divenuti malpensanti finiscono in un loop senza senso. Non aiutano più la storia, la sociologia, l’economia.

 La filosofia per poeti, critici e artisti diventa l’unica soluzione. La prescienza in un mondo annichilito da troppa scienza. Vittorio Varano, classe ’74, ha da poco pubblicato il suo volume di poesie “Variando”, che segue a “Caleidoscopio”, “I petali del tulipano dell’io” e “Pensieri e versi”. Il poeta romano, che fa parte del gruppo “Poeti e poesia” di Elio Pecora e dei “Poeti d’azione”, è però soprattutto un filosofo che dal sottosuolo dei cunicoli vietnamiti osserva il mondo “andato avanti” verso la devoluzione. Chiara Gamberale leggendo i versi “E poi vieni/e non ne avevi/già più voglia” di Varano, poeta purtroppo ancora poco riconosciuto - ha ammesso sul Corriere della Sera: “Fa male, me ne rendo conto. Ma possiamo forse dargli torto?”. Varano e la Gamberale sono cresciuti nella stessa Roma, nel liceo dove la goliardata di studenti svogliati diventa subito nella propaganda collettiva un attacco ai gay.

L’atmosfera è quella del benpensante che si perde: “Si senton tutti a casa propria tranne io/questa città l’hanno ridotta una latrina/si rivolta la mia anima latina/a Roma ormai chi più è romano più è straniero”. Il libro di Varano è “quello - come scrisse il poeta inglese filotedesco Wystan Hugh Auden - che non si legge, ma che ci legge”. Ugualmente il giovane critico d’arte Paolo Meneghetti ci introduce al “Ritratto che ci guarda”, collettiva di Calabria, dei Tamburro e altri alla galleria “Sesto Senso” di Barbara Tamburro, sita al Tritone, nella “Giornata del contemporaneo” promossa dall’Associazione dei musei d’arte contemporanei italiani (Amaci), giunta alla sua IX edizione.

Il “World Economic Forum” condanna il Belpaese che non valorizza i suoi talenti ma i suoi epigoni dimostrano una vitalità diffusa culturale che non ha simili sullo scenario internazionale con mille gallerie di arte contemporanea e una media di 230mila visitatori.

Certo, c’è la direzione generale del Pabaac (Paesaggio, belle arti, architettura e arte contemporanea), sconosciuto ufficio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, ma l’esibizione è il trionfo delle realtà private, ancora capaci di sorprendere. Il curatore della mostra, Meneghetti, ha svolto decine di curatele per moda, pittura, arte, fotografia, ma anche per registi, scrittori e modelle. Scacchista e globetrotter fenomenologico, con tutto lo spirito del nord est applica Heidegger e Deleuze all’espressione concreta della cultura, oggi anche glamour. Perché anche Meneghetti è un filosofo, estetico per la precisione (“L’opera d’arte non offre la verità, ma ci mette in mostra il problema della verità”). L’opera d’arte non serve a nulla, neppure solo emozionalmente, ma la sua “dialettica interna mette meglio in crisi ogni giudizio”. Heidegger osservò il ritratto di un contadino di Van Gogh e fu colpito da un particolare: le scarpe. Non ci vide sociologia ma la dialettica del “mezzo” utilizzato.

Allora lo contestarono per voler forzare le cose. E lui precisò di non voler fare del pittore olandese un filosofo, il che non impediva alle scarpe di avere una propria dimensione teoretica. Dal sottosuolo del poeta Varano, anche Meneghetti afferma di “cercare sempre di nascondere le mie inclinazioni personali, se l’artista che recensisco, segua altre convinzioni estetiche. L’importante è che l’artista abbia una sua estetica: in quel caso, io mi adatterò su di lui”. Tradotto in versi, “in me sto bene/come il mare in un bicchiere/ma se sono confinato in questo calice/qualcuno mi può bere”.

Secondo il professore di Psicologia sociale Gianfranco Tomei, “i versi cesellati di Varano accantonando il “verso libero” dànno ordine implacabile anche all’emozione che incalza. Scrivere versi regolari è controcorrente, distrugge un numero infinito di buone possibilità, ma suggerisce una moltitudine di pensieri lontani, del tutto inaspettata”. Centinaia di pagine di “Variando” si susseguono in dattili dodecasillabi, battuti come electronic drums; un sistema di rime fisse il cui ritmo noioso fa comunque saltare dalla seggiola per le asperità dei contenuti che incredibilmente scandalizzano un mondo inscandalizzabile che ha il suo punto debole nella paura della morte (“se mi uccidono divento chi mi ammazza/mi addestro fin da adesso già mi alleno”; però sin dall’istante in cui nascete/già la morte vi considera cadaveri/la morte il nulla né lo sembra né lo è”).

 Tra gli espositori portati dal Veneto, un pezzo di storia artistica romana, Ennio Calabria, pittore fin dall’VIII Quadriennale del ’59, rappresentante dell’impegno dell’artista al fianco della Cgil e riferimento, nel gruppo “Pro e contro”, della figurazione Informale, psicosimbolica, disfatta ed enigmatica. Davanti a un gruppo di estimatori oggi quasi con rammarico, dopo aver ritratto papa Woityla ed estratto dalla sabbia il volto dell’ex presidente persiano Ahmadinejad, confessa di voler tornare al senso fondativo dell’arte, l’imitazione della natura, compito un tempo affidato agli artisti dai filosofi.

 Nato tra i piedi noir italiani di Libia (“Lasciai Tripoli a 3 anni, nel 1940 e quell’immensa acqua alle spalle è il segno psichico della mia pittura. A noi italiani di Libia non ci fanno tornare”), riflette sul contrappasso di una vita. Ora che torna alla vita della realtà ci ritrova le vesti della morte. Tre generazioni dopo, concorda Meneghetti: la morte è già qui.

“La realtà oggi, la registrazione dei dati, volti e gesti fissati nelle schermate dei social network, l’enorme storage telematico di eventi, vite, storie non sono già un anticipato grande sudario mortale?”. Il libro legge i malpensanti moderati, il ritratto li guarda, la politica li giudica. In questo mondo rovesciato, Varano ne spiega i motivi tra sesso, anticristi, violenza, rissa, sensi di colpa e indifferenza: “una volta che ha varcato il Rubycone/il dittatore non può più tornare indietro”, “Berlusconi il giusto uso fa di Ruby/non l’età ma ciò che femmina la rende/la sua mappa coi suoi monti e i suoi dirupi”.

Un complesso di cose, disprezzabili e disprezzate, ma vive, di fronte alle quali s’erge minaccioso l’attuale limbo dei moderati. Benpensanti, conformisti dell’anticonformismo, superaste il Rubycone, poi però per paura tornaste indietro. Quello vi resta davanti; vi sfida: restaurate quel che siete anche a costo della bestemmia, oppure restate morti.


di Giuseppe Mele