“Il figlio dell’altra” di Lorraine Lévy

venerdì 29 marzo 2013


Il cinema d’autore deve avere l’ambizione di raccontare una storia esemplare per offrire elementi di riflessione in grado di favorire la comprensione delle ragioni di un conflitto politico che si perpetua, malgrado i reiterati tentativi di ricercare una soluzione pacifica, da lungo tempo, come quello che vede contrapposti in Medio Oriente lo Stato Ebraico ed i cittadini palestinesi privi di una patria autonoma e indipendente. Rientra in questa categoria il bel film della regista francese di religione ebraica Lorraine Lévy, che con il titolo “Il Figlio Dell’Altra” è in questo momento in visione nei cinema italiani che propongono film d’autore e di grande spessore intellettuale. Il film è stato concepito e ispirato alla regista ed agli sceneggiatori da un episodio di cronaca e da una vicenda sorprendente e incredibile, realmente avvenuta in passato. Nella prima parte del film compare un giovane che viene sottoposto alle analisi del sangue, mentre si accinge a svolgere il servizio militare nell’esercito dello stato israeliano. Joseph Silberg dalle analisi risulta avere un gruppo sanguigno A positivo incompatibile con quello dei suoi genitori, che è invece A negativo.

La madre di Joseph, medico e sposata con un alto ufficiale dell’esercito israeliano, rimane sconcertata e turbata in presenza dell’esito della analisi del sangue del figlio. In un primo momento, per fugare i sospetti del medico curante, dichiara con grande onestà di non avere mai tradito suo marito, quando Joseph venne concepito. Da questo episodio estremo e quasi inverosimile si sviluppa il racconto di una storia nel film che aiuta a riflettere sia sul modo con cui si forma la identità di ciascun individuo sia sul rapporto tra la persona e la nazione a cui appartiene. Dopo che sono state compiute le verifiche nell’ospedale in cui Joseph è nato, la verità viene svelata e scoperta. Infatti l’anno in cui Joseph è venuto al mondo, Israele, durante la prima guerra del golfo del 1991, era esposto agli attacchi missilistici del regime iracheno, sicchè l’ospedale venne evacuato e questo fatto determinò uno scambio tra il figlio della famiglia ebrea Silberg e quello di una famiglia palestinese della Cisgiordania, il cui nome è Al Bazar. Il medico dell’ospedale comunica questa triste notizia ad entrambi i genitori ed alle famiglie, facendole precipitare in uno stato d’animo di grande disperazione e sconforto. Entrambe le famiglie, per motivi diversi, non vogliono che i figli siano informati del fatto e di quanto è accaduto. In particolare il padre di Yacine, un ingegnere che per vivere svolge l’attività di meccanico, non vuole che suo figlio, che studia in Francia, sappia la verità, ossia che è il figlio naturale di genitori ebrei, poiché teme le reazioni negative dei parenti e della comunità palestinese.

Alla fine sia Joseph, il figlio dei palestinesi cresciuto in una famiglia ebrea, che Yacin, educato in un ambiente arabo e figlio di genitori ebrei, conosceranno la verità sulla loro origine biologica. Da questo momento nel film i temi politici, legati al conflitto tra gli arabi e gli israeliani, vengono rappresentati e mostrati in tutta la loro complessità dentro il racconto. Infatti quando le due famiglie si incontrano nella elegante villa del colonnello Israeliano, tra i due genitori dei figli, che sono stati per errore scambiati al momento della nascita, avviene un veemente scambio di opinioni in cui entrambi rivendicano le ragioni della propria parte. Per il colonnello la responsabilità della guerra è dei palestinesi, che sostengono il terrorismo, per l’ingegnere palestinese, invece, all’origine del conflitto vi è la occupazione del territorio destinato al suo popolo da parte dell’esercito israeliano. Tuttavia è stupefacente vedere come nel film viene con rara efficacia mostrata la esistenza del muro che separa i due popoli. Infatti sia Joseph, dopo avere saputo la verità, sia Yacine, incuriosito dalla famiglia in cui avrebbe potuto vivere la sua vita, con frequenza e senza provare paura e timori di sorta si recano nel territorio considerato nemico dalla rispettive famiglie. In particolare è indimenticabile la scena nel film in cui Joseph, nella povera casa della famiglia palestinese, suoi genitori naturali, essendo un musicista intona un canto arabo, quasi a volere mostrare come l’arte sia capace di indicare la comune appartenenza alla umanità, al di la delle differenze di religione e cultura.

Diversamente Yacine, che sogna di diventare un medico e costruire un ospedale in Palestina, visitando la città di Tel Aviv si accorge e diviene consapevole che Israele è un paese democratico e ricco, mentre il suo paese, essendo privo di una patria indipendente, è immerso nella miseria e nella povertà. Il film è bello e poeticamente profondo poiché dimostra che la identità culturale della persone si forma nell’ambiente in cui nascono e vengono educate, e, sovente, questo fatto rischia di divenire un ostacolo che impedisce il dialogo con chi appartiene ad un altro ambiente culturale ed umano. La conclusione del film in cui i due protagonisti Joseph e Yacine di questa storia, sorprendente e al limite della verosimiglianza, dichiarano di non volere sprecare la vita che hanno avuto in sorte ed in dono, contiene un messaggio pacifico commovente ed impegnativo. Alla fine del film sono riaffiorate nella mia mente le pagine di un saggio di enorme valore del grande economista Amartya Sen intitolato Identità e Violenza, libro nel quale si sottolinea e ricorda che l’uomo non possiede soltanto l’identità religiosa, ma diverse convinzioni che ne definiscono il profilo umano e psicologico. Un film bello e profondo.


di Giuseppe Talarico