Aldo Moro e la fine dello stato di diritto

sabato 16 marzo 2013


Oggi fanno 35 anni dalla strage di via Fani e dal rapimento dell’allora presidente della dc Aldo Moro. La maggior parte dei giovani non sa nulla di quella stagione di terrorismo, lunga troppo lunga, che insanguinò, da sinistra e da destra, le principli città italiane. Quasi 500 morti in poco più di dieci anni per lo più rimasti senza una vera giustizia. Dato che il 90 per cento dei responsabili, compresi i capi delle vecchie Br, Mario Moretti e Barbara Balzerani, ma anche Valerio Morucci, Prospero Gallinari, Renato Curcio, Alberto Franceschini e altri ancora, se la cavarono molto a buon mercato, scontando al massimo una ventina d’anni a fronte di condanne sulla carta di svariati ergastoli a testa. Buona parte dei parenti delle vittime del terrorismo vivono oggi come degli emarginati dalla società e da uno stato che a malapena è riuscito a riconoscere loro, e non in tutti i casi, modeste ricompense per un padre, un fratello o un figlio ucciso.

Ma la peggiore eredità, il sangue di Moro che è “ricaduto su tutti noi”, come lui profetizzava in una drammatica lettera a Zaccagnini, è la fine dello stato di diritto in Italia: fenomeno che è andato di pari passo con una iperfetazione del ruolo della magistratura che oggi ha portato anche il più oscuro pm di provincia a potere influire sul voto degli italiani e sulla vita politica di un governo o di un Parlamento. Il terrorismo fu una vera emergenza nazionale e giustificò leggi eccezionali che compressero drammaticamente le garanzie dei cittadini. Il problema è che queste leggi, finito il periodo di emergenza, non vennero mai più abrogate. Si instaurò un fenomeno paragonabile a quello delle accise sulla benzina: oggi continuiamo a pagare ancora la guerra di Etiopia e il terremoto del Belice. Non solo: da allora le emergenze vere o inventate hanno continuato a succedersi e con esse le relative “leggi speciali”, anti qualcosa, e i provvedimenti premiali a favore dei “collaboranti”.

Chi scrive ricorda come se fosse ieri il dibattito che precedette l’approvazione della legge sui pentiti di terrorismo: all’epoca persino “Repubblica”, un giornale che deve le proprie iniziali fortune al tragico epilogo del caso Moro e alla insensata linea della fermezza tenuta da Dc e Pci, conveniva che mai e poi mai una simile normativa premiale potesse essere estesa alla criminalità organizzata. Meno di tre anni dopo, dopo la spettacolarizzazione del pentimento di don Masino Buscetta, anche i mafiosi e i camorristi avevano la propria legge premiale. Anzi, dato che nel frattempo c’era stata la vergogna del caso Tortora, si osò raggirare l’opinione pubblica vendendo la baggianata che con una legge che regolasse le collaborazioni dei mafiosi non ci sarebbero piu’ stati abusi come quelli che portarono Enzo Tortora in carcere.

Tutte balle, si è visto poi come è andata a finire. E oggi? Oggi con un pretesto emergenziale o con un altro le compressioni dello stato di diritto sono ormai a livello da repubblica delle banane. Se non basta la mafia, c’è l’emergenza stupri, poi la pedofilia e da ultimo la corruzione e persino l’evasione fiscale. Il giustizialismo, a partire da quel maledetto periodo del terrorismo comunista e fascista, è diventato la nuova ideologia degli pseudo salvatori della patria. Oggi i pochi liberali rimasti in Italia raccolgono i cocci di quella maledetta stagione e commemorare Moro, invece che farlo con accenti retorici e pietistici ormai ridicoli, dovrebbe diventare invece un’occasione per rimpiangere il paese liberale che non siamo più.


di Dimitri Buffa