Un film sull’eroe per caso della Shoà

martedì 29 gennaio 2013


Agneszka Holland è la regista polacca che quest’anno firma il film più commovente sulla Shoà. Tratto dal libro Nelle fogne di Lvov di Robert Marshall, In Darkness racconta la storia vera di Leopold Socha, operaio del sistema fognario e ladruncolo a Lvov, nella Polonia occupata dai nazisti. Dopo essersi imbattuto in un gruppo di ebrei nelle fogne della città, Socha accetta di nasconderli per denaro. Quello che inizia come un mero accordo “economico” prende, però, una piega inaspettata. 

Tutti dovranno trovare un modo per scampare alla morte nei 14 mesi vissuti in un continuo stato di allerta. La regista polacca stavolta ha scelto un tema difficile: quella dell’eroe per caso. Socha infatti viene costretto dalle circostanze ad andare contro la propria indole di uomo meschino. E morirà fucilato dai russi nel 1945 dopo avere salvato gli ebrei della propria città nascondendoli nelle fogne. Dopo la guerra ebbe anche un riconoscimento e un posto tra i giusti di Israele a Gerusalemme, ma nel film si capisce chiaramente che da principio aveva solo intenzione di farsi pagare e lucrare sul terrore degli ebrei. Nelle note di regia è la stessa regista a essere più che esplicita sulla scelta del soggetto. Il 2009 ha portato una quantità di storie nuove sull’Olocausto attraverso libri e film. Viene da chiedersi se non sia stato detto tutto sull’argomento. «Eppure – spiega la Hollande -  secondo me, il mistero principale non è stato ancora rivelato e nemmeno analizzato completamente. Com’è stato possibile questo crimine (l’eco del quale risuona ancora in diverse parti del mondo, dal Ruanda alla Bosnia)? Dove si trovava l’uomo in quel periodo critico? 

Dov’era Dio? Tali vicende e azioni rappresentano l’eccezione nella storia umana o rivelano piuttosto una verità oscura, intima sulla nostra natura?». Risposta: «Esaminare le molte storie di questo periodo mostra un’incredibile varietà di destini e vicissitudini, spiegate in un ricco tessuto di trame e drammi, con personaggi che affrontano scelte morali e umane difficili dando prova sia del meglio che del peggio della nostra natura».

Tra le varie storie c’è quella di Leopold Socha che nasconde il gruppo di ebrei del ghetto. Nelle fognature di Lvov. Il protagonista è ambiguo: apparentemente un brav’uomo di famiglia, però anche un ladruncolo e un truffatore, religioso e immorale allo stesso tempo, forse solo un uomo qualunque, che vive tempi terribili. Nel corso della narrazione, Socha cresce in diversi modi come essere umano. Il punto centrale del film è quando gli ebrei che vivono in questa condizione claustrofobica, che “sadicamente” la Holland riversa nel film per la gioia percettiva dello  spettatore che vive quasi due ore tra buio e angoscia, affidano a Socha un tesoretto di gioielli in cambio della protezione. Lui potrebbe vendere i gioielli ai ricettatori e gli ebrei ai nazisti, e la tentazione ci sarebbe pure... ma la moglie lo costringe a riportarglieli anche se sa che la vendita del maltolto, o meglio “mal ottenuto”, potrebbe cambiare il loro tono di vita. Da quel momento Socha, invece di scivolare nell’infamità dei tanti che gli ebrei se li sono venduti in guerra al migliore offerente, cade nella trappola dell’eroismo quotidiano dell’uomo comune: rischia la vita “per niente”, cioè per questa gente che diffida di lui e forse lo odia e che poi, solo alla fine, invece comincerà a dirgli grazie, avendo capito la maturazione morale avvenuta . 

La storia della sceneggiatura del film la racconta meglio di tutti il diretto interessato, cioè lo sceneggiatore David F. Shamoon: «È bastata una frase su un giornale di Toronto per cominciare un viaggio di otto anni che mi ha portato nelle fogne di Leopoli, in Ucraina». Per chi non lo sapesse, infatti, Lvov è il nome in polacco proprio di Leopoli. Durante la Seconda Guerra Mondiale la città apparteneva alla Polonia. «Così mi son trovato su un set dei leggendari Babelsberg Studio - continua Shamoon - alle porte di Berlino con un freddo da lupi e in una buia sala montaggio a Toronto, in un viaggio che mi ha portato anche nei recessi più oscuri della storia dell’umanità».

L’articolo in questione parlava de I Giusti, cioè gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, libro di Sir Martin Gilbert che raccoglie le storie di quelle persone incredibilmente coraggiose che hanno rischiato non solo la propria, ma anche la vita delle loro famiglie, per aiutare gli ebrei a fuggire gli artigli dei Nazisti durante  l’Olocausto.

«La frase che mi ha esaltato - racconta il collaboratore della Holland - diceva più o meno così: “Un ladro polacco cattolico nascose un gruppo di ebrei nelle fogne di Lvov, ambiente che conosceva bene perché lo utilizzava per nascondere la refurtiva e, in effetti, ottenne un lavoro come operaio nel sistema fognario”. Immediatamente, volevo sapere di più su questa persona, la frase sollevava tutta una serie di domande che erano principalmente: che cosa spinge un criminale, o un tipo del genere, a rischiare la sua vita e quella della sua famiglia per aiutare dei perfetti sconosciuti? Sentivo che quest’uomo aveva necessariamente intrapreso un viaggio psicologico e fisico, profondamente emozionante».

Con premesse simili ecco quindi un film non consueto sull’Olocausto e neanche molto politically correct. Ma il messaggio anti nazista è ancora più forte, anzi dirompente: non occorreva nella Polonia degli anni ’40 essere una brava persona per essere un eroe. E rischiare la vita contro i nazisti per tentare di salvare quella degli ebrei che in molti casi erano dei perfetti sconosciuti per i rispettivi salvatori. Anche un delinquente di mezza tacca poteva diventare un giusto della terra. Per cui doppiamente vigliacchi quei burocrati alla Eichmann che hanno fatto finta di non vedere e che si sono nascosti dietro gli ordini cui era obbligatorio obbedire.


di Dimitri Buffa