Amore e Psiche, Milano s’inchina

mercoledì 23 gennaio 2013


A Palazzo Marino, nel capoluogo lombardo, si è chiusa da poco la mostra Amore e Psiche a Milano, ed è stato un successo grandioso. L’allestimento presentava due capolavori coevi, di proprietà del Louvre: la scultura Amore e Psiche stanti di Antonio Canova (1757-1822) e il dipinto Psyché et l’Amour, realizzato nel 1798 da François Gérard (1770-1837). Al centro sta il mito-favola di Amore e Psiche nella versione di Lucio Apuleio (125-170), lo scrittore e filosofo romano di scuola platonica che non ne fu l’inventore, ma che ne Le metamorfosi la confezionò nella forma divenuta da allora canonica. Tant’è che la mostra milanese offriva agli spettatori in attesa di entrare in sala una introduzione che del mito ripercorreva l’ordito, dagli Egizi ai Greci, dal Medioevo al Rinascimento, dai Preraffaelliti allo scultore e pittore francese Auguste Rodin (1840-1917).

Il mito originario narra di Psiche, principessa di rara bellezza, forse persino superiore all’avvenenza della stessa dea della bellezza, Afrodite alias Venere. Tanto che Afrodite si rode d’invidia per Psiche e, attraverso l’oracolo di Delfi (il quale, sacro al dio Apollo, per i Greci vaticinava la voce del Cielo fungendo da tramite tra Zeus e i mortali sulla Terra), ordina ai genitori della bella principessa di abbandonarla su una roccia in attesa che il suo sposo venga ad impalmarla. Ma lo sposo annunciato per Psiche da Afrodite ha il volto stesso della sciagura e della perdizione, il contrario esatto del candore e della purezza della giovane: è infatti un mostro orrendo. Per completare la propria trama, Afrodite domanda inoltre al proprio figlio Eros o Cupido, cioè Amore (per alcuni Cupido è figura mitologica distinta da Amore, per altri no), d’incantare, com’è in suo potere fare, Psiche affinché lei s’innamori della ributtante creatura. Ma quando, resosi invisibile, avvicina Psiche per portare a termine il complotto, Eros impatta con la mai vista bellezza della giovane, innamorandosene profondamente. La conduce così nella propria dimora e la vede solo fugacemente la notte, implorandola di tenere sempre al buio la propria stanza affinché la sua identità non venga rivelata e la notizia del suo tradimento non raggiunga la vendicativa Afrodite.

Un giorno però Psiche invita nella dimora di Eros anche le proprie sorelle e così, anche per colpa della loro gelosia, una notte accende un lume scoprendo il volto di Eros, che è costretto a scappare. Psiche è disperata, Eros le ha trafitto il cuore e anche lei ora ne ricambia i sentimenti. Tenta il suicidio, ma poi implora Afrodite: è disposta a tutto purché Eros torni da lei. Afrodite le impone sfide immani, la massima delle quali è scendere nell’Ade per riportare nel mondo dei mortali un poco della bellezza della regina dell’Oltretomba, Proserpina. Psiche riesce, ma è curiosa proverbialmente come una femmina: apre la scatola contenente i frammenti della beltà di Proserpina e su di lei si scatena l’incantesimo del sonno eterno. La bellezza dei morti, infatti, è fredda, algida, senza cuore. Produce solo l’oblio, il sogno, la dimenticanza. Afrodite cerca poi la vendetta sul figlio Eros, traditore, pensando di mozzargli le ali, ma questi le sfugge e prega Zeus di salvare Psiche. Affinché accada, Eros è sottoposto a propria volta a delle prove, che pure gli doneranno la capacità piena di amare e di conoscere, risvegliando Psiche dalla fattura. Il mito-favola medioevale della “bella addormentata nel bosco”, celebre dall’inizio dell’Ottocento nella versione rielaborata dai fratelli tedeschi Jacob (1785-1863) e Wilhelm Grimm (1786-1859), filologi, affonda le radici qui.

Ebbene, il gruppo marmoreo realizzato su questa storia dal Canova raffigura Amore e Psiche come due fanciulli delicati, lei intenta a posare una farfalla nella mano di lui. Gérard, invece, pittore “di corte” che mise il proprio talento al servizio dell’autocelebrazione del regime napoleonico, e famoso praticamente solo per il quadro in mostra a Milano, coglie i due protagonisti nel momento del loro primo incontro: Amore vede Psiche non visto e se ne innamora, e Psiche ne percepisce comunque  la presenza. Le due scene, la scultura del Canova e il dipinto di Gèrard, si compenetrano e si completano, offrendo nell’insieme un affresco plastico di soave raffinatezza che offre un forte messaggio di natura spirituale.

Il gruppo “milanese” del Canova s’intitola Amore e Psiche stanti poiché i due sono raffigurati eretti, in piedi. Non è questa però l’unica rappresentazione del mito-favola dello scultore italiano, è anzi la terza. Una prima versione, Amore e Psiche, realizzata tra il 1788 e il 1793, è conservata al Louvre e si tratta della più nota, dove Psiche compare reclinata, morbidamente accolta sulle ginocchia e tra le braccia di un Amore alato colto da seduto. Una seconda, realizzata tra 1800 e il 1803, si trova all’Ermitage di San Pietroburgo: qui i due giovani sono già rappresentati in piedi. La terza e ultima, quella “di Milano”, realizzata tra 1796 e 1800, e conservata appunto al Louvre, li raffigura stanti. Ma soprattutto qui Eros è privo di ali. Non per colpa della vendetta di Afrodite, ma per un alto valore simbolico. Espressamente Canova s’ispirò all’interpretazione del mito offerta da Platone, il filosofo greco scopritore della metafisica e rilettore del mito attraverso la ragione contemplativa.

Per Canova, l’amore senza doppi fini, puro, disinteressato (quello, appunto che è detto “platonico”) è legato al risveglio dell’anima sopita, simboleggiata proprio dalla farfalla che nel gruppo scultoreo Psiche dona a Eros dandosi all’amato, affidandogli la propria essenza, il suo principio vitale, la sua scintilla divina. L’anima si risveglia dunque amando e l’amore ridesta l’anima: vi è in gioco molto più che il solo amore carnale umano, vi sono all’opera le potenze spirituali. Amore “platonico” non vuol dire allora, come si crede dozzinalmente, passione non consumata, eterea. Significa invece che la radice di ogni autentico amore umano è metafisica, che la fonte di ogni amore tra gli uomini è lo scambio di anime che partecipa del divino. E la notizia delle notizie è che l’amore divino è storicamente sperimentabile dagli uomini; che la metafisica non fugge la fisica, anzi. Ne è infatti ragione, causa e senso. Per questo Amore è privo di ali, umanizzato: lo spirito non è cosa contraria alla carne, ne è il modo supremo.

Gérard rincalza poi Canova affermando che sovente l’amore non si vede ma si sente, poiché il vero amore è prima spirituale e solo dopo carnale, ed esso attiene all’anima, alla farfalla. La farfalla, cioè l’anima, è quindi un dono, e questa è l’essenza dell’amore. Non a caso, Psiche significa in greco “anima”, psyché, termine che entra nel lessico ellenico con la poesia e con l’epica di Omero, al cuore delle cui narrazioni vi è sempre la relazione fondante tra uomini e dèi, l’amore nelle mille sue fogge e, si pensi all’Iliade, la gelosia di Afrodite verso Elena, altra Psiche... La scienza dell’anima, cioè della psiche, è del resto la cifra stessa della filosofia di Socrate, detta appunto psicologia, e Socrate è il maestro di Platone maestro di Apuleio, Canova e Gérard, dove la sua psicologia costituisce il vero salto in avanti che la filosofia compie passando da indagine fisica a conoscenza metafisica dell’uomo colto nel suo rapporto con il divino.

Ora, una importante versione contemporanea del mito-favola di Amore e Psiche è stata elaborata da C.S. Lewis (1898-1963), il grande studioso di letteratura medioevale e rinascimentale, amante del mito e della fiaba, padre di mille libri insuperati, dalle Cronache di Narnia a Le lettere di Berlicche, dal trattato sui Miracoli a Il cristianesimo così com’è. La sua versione dell’antico mito s’intitola Till We Have Faces: A Myth Retold, e uscì nel 1956. Il titolo originale suona “Finché non avremo volto”, e in italiano è stato pubblicato come A viso scoperto. Un mito rinarrato (Jaca Book, Milano 1997). Esplicitamente, ci dice Lewis con il sottotiolo, la sua è una riappropriazione di una story tradizionale, rinarrata, riletta, reinterpretata, come sempre accade al simbolo. Da Omero al grande amico e compagno di Lewis, J.R.R. Tolkien (1892-1973), la letteratura è sempre la riscrittura di topoi intramontabili.

In Lewis l’antica favola è scritta dal punto di vista di una delle sorelle della bella Psiche, Orual (nome di puro parto lewisiano), e ambientata in un Paese immaginario, Glome, ai bordi del mondo ellenico, uno o due secoli prima della nascita di Cristo. Siamo cioè in Avvento. Il tema è l’amore puro ferito dal dolore, tanto che Lewis dedica il libro alla moglie Joy Davidman Gresham (1915-1960), sposata tardi, quando pensava che l’amore non avrebbe mai più colto di sorpresa un attempato topo di biblioteca come lui, e poi colpita dal cancro che la ucciderà prematuramente. È l’ultima sua opera narrativa e Lewis la riteneva la migliore. Si collega direttamente alla materia del saggio The Four Loves del 1960, anno della morte di Joy (I quattro amori: affetto, amicizia, eros e carità, Jaca Book, 1990), e afferma che nessun amore può resistere alla capacità umana di rovinare tutto se non è retto e sublimato dall’agape, l’amore divino.


di Marco Respinti