“Cloud Atlas”, viaggio oltre la vita

mercoledì 16 gennaio 2013


Inizia idealmente dove finiva “Babel”, questo bellissimo quanto enigmatico “Cloud Atlas”. E finisce con un’altra mezz’oretta di immagini aggiuntive fino a raggiungere i 172 minuti.

All’insegna del tutto è connesso, un po’ come la storia di quello che premendo un campanello in Italia uccideva un Mandarino in Cina, stavolta i legami vanno anche nel futuro e nel passato e in altre galassie dove si creano coreane replicanti che lavorano ai grandi magazzini e che sembrano quelle che ci fa vedere McDonald’s nel noto spot dei 3mila posti di lavoro in Italia. Tutto è suggestivo nella trama a patto di accettare, un po’ come con “Babel”, di non capirci nulla. Il cervello si liberi dalle gabbie di una trama, peraltro tratta da un libro, che ovviamente non ha né capo né coda. D’altronde quando si abbraccia la fantascienza allo stato puro questo è un rischio ben calcolato. Per la cronaca il film è scritto e diretto da Lana Wachowski, Tom Tykwer e Andy Wachowski. I fratelli Wachowski hanno già lavorato come sceneggiatori/registi della rivoluzionaria trilogia di “Matrix”, che ha incassato più di 1,6 miliardi di dollari in tutto il mondo. Tom Tykwer ha vinto un “Independent Spirit Award” e ha ottenuto una candidatura ai Bafta come regista/sceneggiatore di “Lola corre”, e più recentemente ha diretto il pluripremiato “Profumo: Storia di un assassino”.

Basato sul celebre romanzo best-seller di David Mitchell, “Cloud Atlas” è stato prodotto da Grant Hill (due volte candidato agli Oscar  per “La sottile linea rossa” e “The Tree of Life”), da Stefan Arndt (tre volte candidato ai Bafta Award per “Il nastro bianco”, “Goodbye Lenin!” e “Lola corre”), da Lana Wachowski, Tom Tykwer e Andy Wachowski. Philip Lee, Uwe Schott e Wilson Qiu sono i produttori esecutivi, con i co-produttori Peter Lam, Tony Teo e Alexander van Dülmen, e Gigi Oeri come produttore associato. 

Detto questo passiamo alla trama, e qui viene il bello. O il brutto. Le note di regia suggeriscono questo: “storia ambiziosa e spettacolare che copre l’arco di cinque secoli e affronta quelle domande sulla vita e sul suo senso che l’umanità si è posta fin dall’inizio del pensiero. Con una serie caleidoscopica di sequenze d’azione, emozioni e relazioni umane che illuminano singoli punti lungo una linea temporale infinita, il film suggerisce che ogni vita continua la sua traiettoria individuale attraverso i secoli. Di volta in volta le anime rinascono e rinnovano i loro legami con altre anime. Gli errori possono essere corretti... o ripetuti. La libertà può essere guadagnata o persa, ma è sempre e comunque oggetto di ricerca. E, sempre, l’amore sopravvive”.

Vi può bastare per andare al cinema? Forse no, ma andateci lo stesso, non ve ne pentirete. Perché il “Cloud Atlas” è un vero e  proprio viaggio tra i timori dell’umanità di oggi, dalla clonazione alla censura passando per la moralità nella politica. Solo non cercate un legame troppo profondo tra eventi e personaggi, anche se i registi ve lo suggeriscono come un assist a porta vuota. Nulla infatti è come appare e comunque non avrete bisogno di una tazza di caffè per rimanere svegli. Per prudenza evitate gli spettacoli dopo pranzo e dopo cena perché con la pancia piena potreste scivolare in un sonno ipnotico un po’ come quello che  può essere indotto da film del genere che qualcosa dei trattamenti psicanalitici sotto ipnosi portano inevitabilmente dentro.

Ecco in proposito le parole di Lana Wachowski, uno dei tre sceneggiatori/registi che hanno adattato il romanzo di David Mitchell dal quale è stato tratto il film: «Dal punto di vista del soggetto il film trascende i confini di razza e di genere, geografici e temporali, per raccontare una storia che ci mostra come la natura dell’umanità vada ben oltre quei confini. È stato questo a incuriosirci quando abbiamo letto il romanzo e poi quando abbiamo cominciato a lavorare alla sceneggiatura».

 Tom Hanks, che compare in sei ruoli che rappresentano il viaggio di una singola anima osservata in diversi punti del suo cammino, afferma: «Spesso i personaggi assistono a qualcosa che potrebbe cambiare la loro vita per sempre e devono agire. Possono essere eroi o codardi. La domanda è: che cos’è la storia se non una sequenza di innumerevoli momenti come questo, legati insieme? Cos’è la condizione umana, se non una serie di decisioni da prendere?».

E anche Halle Berry, pure lei interprete di sei personaggi, fa dichiarazioni entusiastiche: «È stata un’esperienza unica, non credo che avrò più la fortuna di partecipare a un film del genere. Adoro la sua originalità. Infrange tante di quelle barriere, presenta tanti di quei concetti emozionanti, che spero spingerà le persone a riflettere sul loro modo di percepire il mondo e la vita».

In realtà film simili sembrano fatti apposta per premiare la poliedricità di attori come Hanks e la Berry. Per i registi e gli sceneggiatori il lavoro sembra invece più difficile: come ridurre un romanzo da mille e passa pagine a una sceneggiatura che qualche produttore avrà il coraggio prima di leggere e poi di finanziare? Ebbene, i fratelli Wachowski ci son riusciti e solo per questo meriterebbero un Oscar a parte, al di là delle nomination che questo film solo in parte hollywoodiano inevitabilmente finirà per cumulare. Un’ultima notazione, un personaggio a un certo punto del film fa una citazione dei libri di Castaneda. Sì, questo film sembra a misura di una delle streghe di don Juan, e sembra anche volere spostare il punto di consapevolezza dello spettatore, che, come quello di ogni essere umano, secondo Castaneda era sito in mezzo alle scapole, per farlo poi viaggiare nel cosmo. Una volta si usava la forza propulsiva dell’acido lisergico per esplorare il nostro subconscio e in America fino all’avvento del proibizionismo la sostanza era maneggiata con cautela anche dagli psicanalisti. Oggi abbiamo questi film che possono svolgere la stessa funzione senza i pericoli collaterali di ogni tipo di droga, specie se allucinogena.


di Dimitri Buffa