Nuti mette in scena le Catilinarie

domenica 21 ottobre 2012


Nell’anno 63 a.C., sul finire dell’autunno, la vita interna di Roma è turbata dalla minaccia improvvisa di un colpo di Stato. Un nobile ambizioso e di ambigua fama, Catilina, trama una congiura destinata a spezzare il monopolio politico dell’oligarchia senatoria, per attuare poi un programma di riforme sociali; e in lui convergono le speranze di quanti sono, per nascita o condizione economica, emarginati dal potere. Console in carica è Cicerone, il più grande oratore di Roma. Dopo i fortunati Processo a Socrate e Processo per Magia, Piero Nuti fino al 21 ottobre al Teatro Erba di Torino, si cimenta in una nuova vibrante interpretazione proponendo Le Catilinarie (”Orationes in Catilinam”) ovvero i celebri discorsi tenuti da Cicerone contro Catilina, pronunciati nel 63 a.C. in seguito alla scoperta e alla repressione della congiura che voleva minare gli ordinamenti repubblicani, che faceva capo appunto a Catilina.

Nel pericolo che si profila Cicerone intravede l’occasione di una insperata affermazione personale e fronteggia Catilina con l’arma del suo talento oratorio. L’aspra requisitoria pronunciata contro di lui nel corso delle quattro celebri orazioni “Catilinarie” resta tra i capolavori della sua eloquenza documentando l’arroventato clima politico in cui si consuma il tramonto della repubblica. Legalità e violenza risultano, nel discorso, i termini finali di una lotta dalla cui soluzione dipende la sopravvivenza stessa dello Stato. «È questo il dramma della lotta politica senza esclusione di colpi, della sommossa ben predisposta, della slealtà bipartita, della minaccia ricattatoria, dell’abuso e della sollecitazione di paure collettive strumentalizzate a fini di potere» ha osservato il prof. Pierpaolo Fornaro. Si tratta di ben quattro orazioni. L’8 novembre del 63 a.C. il console Marco Tullio Cicerone fa convocare il Senato nel tempio di Giove Statore e, rivolgendosi a uno dei senatori presenti alla seduta, lo accusa di essere il capo di una congiura che vuole realizzare un colpo di Stato. Il senatore che si sente rivolgere queste accuse è Lucio Sergio Catilina. Già da qualche settimana si sospetta ma Cicerone in realtà, fino a questo momento, non ha mai mostrato alcuna prova del coinvolgimento di Catilina. Se dunque quest’ultimo, si è recato tranquillamente alla seduta del Senato, è perché non si aspetta un attacco così improvviso. Catilina, perciò, sembra essere inchiodato dalle accuse. In realtà non è facile stabilire quali carte effettivamente Cicerone abbia in mano e in che misura, invece, il suo sia un modo di fare per sorprendere l’avversario e indurlo a compiere un passo falso. Dopo la seduta del Senato Catilina lascia Roma per raggiungere i suoi uomini. Tre giorni dopo la prima orazione, Cicerone davanti al Senato ne pronuncia una seconda. A dicembre, Cicerone pronuncia altre due orazioni, non più in Senato ma nel Foro, davanti al popolo. In questa storia da una parte sembra esserci Cicerone, uomo virtuoso e disposto a tutto per salvare la patria, dall’altra c’è Catilina, lo scellerato, il violento, il nemico del popolo romano.

Però ancora oggi, a più di duemila anni di distanza, gli studiosi si interrogano su questo episodio e cercano di capire cosa ci fosse dietro la congiura. Catilina era un nobile che faceva parte dell’aristocrazia senatoria e pertanto partecipava alle sedute del Senato. Ma era un nobile impoverito e sembra pieno di debiti. Sallustio ci informa che Catilina aveva un largo seguito in città: «La plebe, vogliosa di mutamenti, era tutta per Catilina». Pertanto è plausibile pensare Cicerone, forte dell’effetto sorpresa abbia esagerato un po’ nel delineare il ritratto del suo nemico. Se leggiamo altre orazioni di Cicerone, ci accorgiamo che tutti i suoi avversari vengono sempre accusati delle colpe più orribili. Si può sempre pensare che fosse tutto vero, visto che Cicerone era un abile avvocato, ma anche un politico che voleva mettere i suoi avversari il più possibile in cattiva luce? La demonizzazone del diverso è uno schema che si è ripetuto spesso, non solo nell’antichità e anche oggi si assiste a questo in politica. Certo, Cicerone ha combattuto la sua battaglia contro Catilina usando soprattutto le armi della parola. Mentre Catilina era sicuramente un uomo ambizioso e pronto alla violenza e lo schieramento che lo sosteneva era quanto di più eterogeneo si potesse immaginare. Ma la lotta tra Cicerone e Catilina non è affatto una lotta tra il Bene e il Male, come Cicerone vorrebbe far credere. Ce lo lascia capire, in fondo, lo stesso Cicerone all’inizio della prima orazione quando, affermando che Catilina merita la morte, indica come modello da imitare e da cui prendere esempio, il pontefice massimo Publio Scipione Nasica, il cui merito storico era quello di aver difeso gli interessi dei latifondisti con il primo di una lunga serie di delitti, quello del tribuno della plebe Tiberio Gracco. Ci fu anche una strage organizzata dai latifondisti, per difendere il latifondo e in definitiva, non siamo molto lontani dai metodi usati nel nostro secolo, in Sicilia, dalla mafia. Roma uscì a pezzi da questi conflitti: ci furono nuovi ricchi, ma ci furono soprattutto nuovi poveri. A Roma quindi si era formato un vasto schieramento di disperati, che avevano finito per essere seguaci di Catilina. Costoro erano molto diversi tra loro, ma avevano una cosa in comune: in mancanza di una soluzione politica dei loro problemi, erano tutti pronti a qualsiasi avventura. E cosa aveva fatto lo Stato per migliorarne le condizioni? Assolutamente nulla. Anzi, peggio, proprio nel 63 a.C. era stata proposta una legge che imponeva di assegnare una piccola porzione di terre ai nullatenenti. Contro quella proposta pronunciò una appassionata orazione (riuscendo a farla bocciare) il console appena eletto, Marco Tullio Cicerone. Piero Nuti, che ha scritto e diretto l’opera in scena ne sottolinea la contemporaneità: «Tutte le opere di Cicerone sono permeate di politica, vedi le orazioni contro Verre l’infame governatore della Sicilia, che ricordano le accuse che le leggiamo quotidianamente su la stampa e non è un paradosso.

Cicerone, da moralista convinto, si scaglia contro la corruzione e il vizio e contro Catilina ha gioco facile. Ma nella Roma attraversata da grandi e profonde tensioni sociali, Catilina è anche un oppositore violento alla oligarchia dominante. Il nuovo contro il vecchio? Certamente la sua azione politica fu un tentativo di scardinare le responsabilità di una oligarchia che concepiva il potere come un monopolio. Questo personaggio conserva, nonostante tutto, il fascino del ribelle che cerca disperatamente e caoticamente di combattere le ingiustizie del potere».


di Vito Piepoli