Il Concilio Vaticano II, 50 anni dopo

venerdì 12 ottobre 2012


Come osservava lucidamente sul Foglio del 9 ottobre il direttore Giuliano Ferrara, considerata l’influenza che ha avuto il cattolicesimo nel plasmare l’identità ed il carattere nazionale del nostro paese, è fondamentale riflettere criticamente su quale sia stata la importanza culturale del Concilio Vaticano II, sia per i credenti, sia per gli atei e gli agnostici.

Il Concilio Vaticano II venne indetto da Papa Giovanni XIII il 25 gennaio 1959. Venne inaugurato l’11 ottobre del 1962, e si concluse, dopo tre anni di riflessioni e la redazione di quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni, sotto la guida del pontificato di Paolo VI, il cui stile di governo oscillò tra l’apertura ai tempi moderni e la necessità di preservare il legame con la tradizione immutabile della chiesa. La parola che riecheggiò, durante i lavori della assemblea conciliare, fu quella dell’aggiornamento della Dottrina Cattolica, per annunciare all’uomo moderno il messaggio eterno  contenuto nel vangelo. 

Sulle implicazioni che il Concilio Vaticano II ha avuto nella storia moderna e sulla sua portata all’interno della chiesa, si è formata una discussione da cui è derivata una storiografia dalle tonalità e indirizzi antitetici ed inconciliabili. Non c’è aspetto della vita e cultura moderna su cui il Concilio non abbia espresso valutazioni e giudizi degni di attenzione: il rapporto tra la fede e la scienza, i mutamenti del costume, la contraccezione, il divorzio, il ruolo della donna nella chiesa e nella società, il duro e necessario confronto tra la morale laica e quella cattolica, gli stili di vita individualistici ed autonomi propri della società di massa. Tuttavia il nodo centrale intorno a cui si è sviluppato il confronto tra gli studiosi di storia, da cui sono derivate le diverse letture fornite dalle opere storiche sul significato da attribuire al Concilio Vaticano II, ruota intorno al quesito se questo evento segnò uno spartiacque nella storia della chiesa rispetto alla secolare tradizione, custodita dal patrimonio dottrinale e teologico, oppure fu un grande evento, che si pose in continuità con la secolare storia del cattolicesimo.

Bisogna ricordare che intorno al Concilio Vaticano II sono nate e si sono sviluppate due ermeneutiche, quella della discontinuità e quella della continuità. Giuseppe Alberigo, ha il merito di avere scritto un’opera storica notevole sul concilio vaticano II, in più volumi, ed è considerato il caposcuola e colui che ha sempre letto il Concilio Vaticano II come un evento che segna una radicale discontinuità nella storia della chiesa. Agostino Marchetto ha, diversamente, nei suoi recenti scritti, offerto una ricostruzione della vicenda storica legata alla celebrazione del Concilio Vaticano II che privilegia la tesi della continuità di questo grande avvenimento rispetto alla storia precedente della chiesa ed alla sua dottrina.

Ma quale fu il carattere specifico che definisce l’essenza del Concilio Vaticano II? Come ha notato lo storico Roberto Mattei in un suo saggio pubblicato sul Foglio, la chiesa è una istituzione che ha una duplice e diversificata natura, poiché è governata dagli uomini ma ha un suo carattere metafisico e ontologico. Pertanto allo storico spetta, sulla base dei fatti, comprendere quanto è avvenuto  durante il Concilio Vaticano II, la portata delle sue decisioni e la genesi degli scritti che vennero emanati e promulgati, le conseguenze dell’evento sulla storia successiva della società umana. Al teologo spetta, invece, individuare le novità dottrinarie che il Concilio Vaticano II seppe introdurre e innestare nella tradizione millenaria della chiesa. Si tratta di due livelli d’indagine, quello storico e quello teologico, che pur essendo rivolti all’accertamento della verità, seguono percorsi diversi e distinti.

Secondo Roberto Mattei, il Concilio Vaticano II ebbe una sua specifica caratteristica che lo differenzia profondamente dai precedenti venti Concili, a partire da quello di Nicea. Infatti durante il Concilio Vaticano II la dimensione e l’aura pastorale prevalsero sullo stile normativo e dogmatico, volto a stabilire i principi non negoziabili, che aveva segnato i precedenti Concili della storia della chiesa cattolica.

Questo fatto si spiega, come ha notato il teologo e filosofo Gianfranco Ravasi sull’inserto culturale del Sole 24 Ore di domenica scorsa, con la circostanza che all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso la chiesa voleva liberarsi dalla mummificata e cristallizzata ritualità del passato sia per aprirsi alla società moderna e comprenderne i bisogni, sia per riscoprire la vitalità originaria delle radici cristiane. Da qui derivò il ripudio della predicazione apologetica, l’abbandono del latino, lingua letteraria per eccellenza, uno stile di comunicazione in linea con il linguaggio mediatico della modernità. Sempre secondo Ravasi, vi fu una riaffermazione del primato della parola di Dio, sicchè la Bibbia, interpretata con il metodo storico critico, doveva illuminare la eucarestia, la teologia, la cultura e la chiesa come istituzione immersa nella dimensione storico temporale. Ma soprattutto, grazie al Concilio Vaticano Secondo, che aveva posto l’accento sulla dimensione pastorale e non sui dogmi, vi fu una apertura per capire il mondo contemporaneo, attraversato da fermenti e aspettative nuove e sorprendenti.

Da qui la esigenza di elaborare e concepire una nuova antropologia culturale per porre un argine ai processi della secolarizzazione, della eclisse del sacro e della indifferenza nei riguardi della dimensione trascendente, ribadendo e riaffermando la contemporaneità della parola di Cristo, capace di soddisfare le istanze della società di massa, come sosteneva il filosofo Kierkegaard. Ci si chiede oggi, dopo che Papa Benedetto XVI ha convocato il Sinodo per la nuova evangelizzazione del mondo contemporaneo, se il Concilio Vaticano II sia stato disfatto ed archiviato dai successori di Giovanni XIII e da Paolo VI.

In realtà, malgrado le diverse interpretazioni che la storiografia ha prodotto ed offerto agli studiosi sulle implicazioni culturali e teologiche di questo evento, non si può negare che il Concilio Vaticano II ha cambiato profondamente il modo di comunicare e di essere presente nella società moderna della chiesa cattolica. Soprattutto il Concilio Vaticano II ha offerto un ritratto dell’uomo moderno la cui dignità dipende dall’essere stato creato a immagini di Dio, come creatura dotata di intelligenza, di una coscienza, di una sua autonomia di giudizio, di una anima capace di compiere  cose grandiose ma anche di rendersi responsabile di azioni che ne mettono  in evidenza la sua grande e irrimediabile miseria umana, segnata dal peccato originale. Oggi, mentre le nuove generazioni sprofondano nella disperazione e sperimentano l’insensatezza della vita, e si osserva la crisi radicale dei valori in  una società secolarizzata e in crisi sia moralmente sia spiritualmente, occorre meditare sulla eredità culturale che il Concilio Vaticano II rappresenta per la chiesa e la società contemporanea.


di Giuseppe Talarico