Carceri, una situazione intollerabile

sabato 6 ottobre 2012


Definirla impietosa è un eufemismo. La radiografia della Corte dei Conti contenuta nella delibera sulle “Situazioni di criticità” nella “gestione delle opere di edilizia carceraria” è di inusuale durezza. Nero su bianco, si scrive di carceri finite e mai utilizzate, e di altre abbandonate dopo costosissime spese di ammodernamento; si sottolinea come il 10 per cento degli agenti penitenziari non sia utilizzato negli istituti detentivi; si denuncia l’enorme spesa per i “braccialetti elettronici”: circa 10 milioni l’anno dal 2001 al 2011, per appena 15 (quindici!) applicati a detenuti “domiciliari”. Fece scalpore, il 4 gennaio scorso, il vice-capo della polizia Francesco Cirillo quando disse, davanti alla Commissione Giustizia del Senato che «se fossimo andati da Bulgari avremmo speso di meno». Scalpore e ironia; però fate cento milioni, divideteli per 15, e con quello che ottenete andate da Bulgari o in una gioielleria di vostro gradimento. La battuta diventa un qualcosa che si trasforma in una smorfia, altro che le risatine che provocò allora. 

Prendiamo il capitolo dalle carceri non ancora utilizzate. Quello di Rieti, è stato finalmente aperto a maggio; per poterlo fare (e un “braccio” è comunque ancora chiuso) si sono dovuti sottrarre agenti di polizia penitenziaria da altri istituti. «Un evento positivo, che pone fine ad un evidente spreco di risorse considerato che la costruzione è costata complessivamente 48,5 milioni, è iniziata nel dicembre 2004 ed è stata terminata nel 2008-inizio 2009, restando quindi inutilizzata per tre-quattro anni», annota la Corte dei Conti. Ancora bloccato, invece, il carcere di Reggio Calabria-Arghillà: «dopo le costose progettazioni e realizzazioni effettuate, malgrado la consapevolezza di non poter aprire tale struttura stante la mancanza, ben nota di indispensabili, adeguati collegamenti stradali».

È stato necessario un nuovo finanziamento: «non certo modesto», chiosa la Corte, di 21,5 milioni, ridotto a 10,7, che dovrebbe permettere la realizzazione della strada. Ci sono poi le Case mandamentali, una decina, alcune nuove, altre rinnovate con costosi lavori di adeguamento, che dopo aver realizzato, si voleva abbandonare, dimettere. Progetto a quanto pare rientrato; tuttavia, avverte la Corte, «i costi di questi interventi non appaiono invero sempre contenuti ma almeno le spese della trasformazione e del completamento servirà comunque a far recuperare le risorse che erano state impiegate per la loro realizzazione».

Grave la situazione del personale: «In un quadro di forti difficoltà gestionali delle carceri derivanti anche dalle carenze quantitative degli appartenenti alla polizia penitenziaria  desta sorpresa e perplessità l’aver appurato che un numero elevato di unità (3.870), pari a più del 10% della forza complessiva (38.543), non sia stato utilizzato negli istituti detentivi per attività di sorveglianza o per attività connesse, anche grazie a istituti giuridici definiti dall’Amministrazione come distacchi e comandi, tra i quali una sessantina a favore della Presidenza del Consiglio o di alti organi, anche costituzionali o di rilevanza costituzionale».

E questo a fronte di grave carenze di organico che dovrebbe essere di 45mila agenti, e del sovraffollamento degli istituti. In questa situazione, il personale già in sottorganico, rischia di non essere sufficiente per far fronte all’apertura delle nuove e costose carceri o padiglioni che così «risulterebbero inutili, quanto meno parzialmente o provvisoriamente».

Il problema è sempre lo stesso: sovraffollamento. «Nelle carceri, a causa dell’impressionante sovraffollamento (21.285 detenuti in più rispetto ai 45.688 posti disponibili), non solo non si garantisce il principio costituzionale del fine rieducativi della pena, ma nemmeno il diritto alla salute, visto che non sono assicurate le più elementari norme igieniche e sanitarie», denunciano gli avvocati penalisti in un documento approvato all’unanimità al termine del loro congresso a Trieste. Si registra un decesso ogni due giorni, un suicidio ogni cinque; una situazione che i sindacati di polizia penitenziaria definiscono, testualmente, “strage di stato”. Dall’inizio dell’anno sono oltre 140 i detenuti morti, una cinquantina i suicidi; e anche tra gli agenti di polizia penitenziaria: in sei, quest’anno si sono tolti la vita; 89 tra il 2001 e il 2011. 

«Un carcere invivibile», racconta un agente, «è invivibile per i detenuti che ci sono costretti, ma anche per chi ci lavora dentro in condizioni sempre più difficili». Fra le cause di un simile disagio la cronica carenza di mezzi, ma soprattutto di personale: l’organico previsto è fissato in 45mila unità, ma gli agenti impiegati sono circa 37.500 per uno “scoperto” che si avvicina alle 8mila unità.

Non solo: l’organico previsto dal ministero è stato fissato dieci anni fa, ma da allora sono stati aperti nuovi istituti e nuovi padiglioni in strutture già esistenti; e ogni giorno qualche migliaio di agenti è impegnato in attività fuori dal carcere. Se possibile, la situazione è destinata a peggiorare, a causa dei tagli e del blocco del turnover: «Si può affermare legittimamente», sillaba il segretario generale del Sappe Donato Capece, «che a decorrere dal 2013 le assenze in servizio si avvicineranno alle 10mila unità, vale a dire oltre il 20% dell’organico generale. Se le carceri sono ora al collasso, entro i prossimi otto-dieci mesi non sarà più materialmente possibile gestirle».

Si dice: costruire nuove strutture e nuovi spazi per ospitare i detenuti in eccesso; con quale denaro, visto che i soldi non ci sono? Alla fine, degli oltre diecimila posti previsti in un primo momento non si andrà oltre i 3.800: 17 padiglioni da costruire in istituti già esistenti in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Perché vedano la luce, però, ci vorrà ancora almeno un anno. Sembrano tramontati i progetti, almeno per il prossimo biennio, per quel che riguarda i nuovi istituti a Torino, Camerino e Pordenone.

Così si fa più nutrito il “partito” dell’amnistia capeggiato dall’instancabile Marco Pannella. L’altro giorno a favore si è pronunciato il ministro Andrea Riccardi: «Bisogna avere il coraggio di compiere alcuni gesti per uscire dalla durissima situazione delle carceri italiane, una situazione insopportabile. Mi chiedo perché dobbiamo sempre lasciare al presidente della Repubblica la responsabilità di dover fare questi  interventi, e non siamo noi stessi a proporli».

Lo segue a ruota il finiano deputato di Futuro e libertà Fabio Granata: «La civiltà di una nazione ha tra i suoi indicatori il funzionamento del sistema carcerario e la tutela della dignità umana al suo interno, dignità che riguarda sia coloro che scontano una pena che il personale della polizia penitenziaria, chiamato a un ruolo delicatissimo. In questa fase finale della legislatura, nonostante il tetto parlamentare altissimo occorrente per approvare il provvedimento, ci batteremo con il gruppo parlamentare di Fli per approvare indulto e amnistia escludendo ovviamente dalla misura i reati di sangue e di mafia, di corruzione e di pedofilia».

E per l’amnistia si dice Salvo Fleres, senatore di GrandeSud e garante dei detenuti della Sicilia: «Le condizioni di invivibilità delle carceri italiane sono di molto al di sotto delle regole minime europee e questo, oltre che costituire un elemento di grave inciviltà giuridica e umana, fa correre al nostro paese il rischio di clamorose e costose condanne da parte del Tribunale europeo per i diritti dell’uomo. L’amnistia insieme al varo della più volte annunciata legge sulle pene alternative, migliorerebbe la situazione evitando che il carcere diventi l’unica pena». 

E se il ministro della Giustizia Severino, in visita al carcere minorile di Nitida, dice che «non ci sono le condizioni per un provvedimento di amnistia, che comunque dipende dal Parlamento e richiede una maggioranza qualificata dei due terzi e non mi sembra ci siano le condizioni per raggiungerla». Già: ma le condizioni non ci saranno mai fino a quando non si lavora per crearle e si opera anzi per il contrario.


di Valter Vecellio