La satira che non piace agli estremisti

martedì 18 settembre 2012


Prima di inoltrarci in  ciò che nessuno ha sinora avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di fare, cioè recensire il film dello scandalo “Innocence of Islam”, possibilmente in chiave descrittiva, va premessa una cosa non molto islamically correct: i cristiano copti in Egitto passano di governo in governo, di dittatura in futura teocrazia, senza che nessuno li protegga dagli assalti “ben guidati” (proprio murashiduna, i “ben guidati”, erano chiamati i califfi che succedettero a Mohammed) dei fanatici islamici che ne fanno strage in continuazione. E la polizia, come si vede anche in una scena contenuta nel trailer da 13 minuti e 51 secondi che è sinora l’unica materia filmata su cui fare una descrizione, interviene solo a cose fatte.

La disinformazione mainstream, subito messasi in moto con modalità da pilota automatico in caso di emergenza, ancora venerdì su La7, edizione tg dell’ora di pranzo, trasmetteva un reportage di repertorio in cui si insisteva a parlare di una sorta di complotto sionista ebraico e si parlava di un regista e di un produttore della nota lobby israelo-ebraica statunitense. Tutte ormai notorie falsità.

In realtà il film sembra volere essere, nessuno di noi ha avuto la possibilità di vederlo nella sua interezza, un pamphlet satirico, ma anche un po’ disperato, dei copti d’Egitto  costretti a convivere sia con la violenza omicida dei fanatici sia con l’indifferenza ipocrita delle istituzioni che lasciano fare per quieto vivere.

Le scene girate di per sè denotano una scarsa attitudine con il montaggio: lo stile che si tenta di imitare è proprio quello di Life of Bryan dei Monty Python, una satira per l’appunto dissacrante e blasfema, sia pure con un lato di tenero umorismo, della vita di Gesù, che nel film si chiama Brian che è un nome da rock star. Ma il film che viene parodiato, e qui si potrebbe riflettere sulle coincidenze e sulle eterogenesi dei fini, è il famosissimo, nel mondo arabo, Risala. Una pellicola del 1976 finanziata nientemeno che da Gheddafi, in due versioni, una araba e l’altra inglese con la regia di Moustafà Akkad. Il film dura circa tre ore e nella versione inglese l’attore principale, Hamza, è Anthony Quinn. Il film è stato girato in parallelo (shot-for-shot) in due versioni diverse, una in inglese (Il messaggio) e una in arabo (Al-risâlah). Ogni versione aveva un proprio cast quindi ogni scena veniva girata due volte, prima con un gruppo di attori e subito dopo con l’altro gruppo. Nel film non vengono mai mostrate immagini del profeta Maometto, in rispetto dei dettami islamici. C’è solo la spada a due punte del cugino Ali che viene inquadrata mentre combatte. Alin che sarebbe stato ammazzato dopo la morte del Profeta, è  colui dal cui pensiero sarebbe nata l’eresia sciita. La pellicola racconta con dovizia di particolari la storia dell’islam dalla rivelazione del Corano al profeta Maometto, alla cacciata dalla Mecca fino alla riconquista della stessa da parte dei musulmani. È l’equivalente arabo dei Dieci comandamenti ed è anche un bellissimo film. Quando Gheddafi lo finanziò pensava di poterci veicolare il proprio personalissimo islam, laicizzato, quello del suo libro verde. Nulla a che vedere con i tagliagole di Bin Laden, dei talebani o degli attuali esponenti di Al Qaeda nel maghreb. Lo strano destino di questo sanguinario e visionario dittatore, che però dal punto di vista della laicità dello stato era stato sicuramente meglio di quanto vediamo oggi nel maghreb, è che non solo sarebbe lui stesso morto linciato per mano di fanatici islamisti ma che dopo la sua morte la parodia di un film prodotto e finanziato da lui 46 anni prima avrebbe creato altri disordini e altri morti ammazzati in nome di una religione che, almeno per lui, non aveva niente a che vedere con quella dello sceicco al Qaradawy, la guida riconosciuta degli “Ikhuan al muslymin” (fratelli mussulmani) in Egitto.

Nel trailer ci sono una decina di scene, alcune un po’ sgangherate e volgari, dal punto di vista sessuale. Ad esempio si vede lui  Maometto che tenta di mettere la testa tra le cosce della moglie anziana Kahdija. La quale, anzi, glielo chiede espressamente e gli chiede anche di tirare fuori il diavolo che è dentro di lei.

Roba da film di Alvaro Vitali, neanche molto ben recitata. Poi c’è il pour parler con la mamma della giovane Aisha, sposata da Muhammad a sei anni, secondo la leggenda riportata negli hadith della vita del Profeta. Hadith che hanno la stessa attendibilità storico scientifica degli episodi narrati nel Vangelo o nella Bibbia: ci crede chi vuole crederci perchè è un fedele. Per cui come ci sono persone non inclini a credere alla resurrezione di Lazzaro o alla trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Caana, tantissimi fedeli islamici si sono spesso interrogati sul significato di questa sposa bambina, Aisha, nella vita di Maometto e nei suoi insegnamenti. Alcuni ne hanno dedotto, Ciceri pro domo eorum, specie tra gli sceicchi ricchi, capricciosi e impuniti dell’Arabia saudita e dei paesi confinanti del Golfo, una sorta di liceità a avere rapporti sessuali con minori anche ragazzine. Altri rilegano più verosimilmente la cosa ad allegoria della fede, non a precetto o ad alibi per farsi dare in sposa, come ancora oggi accade, una ragazzina di pochi anni in cambio del denaro offerto alla famiglia. Liquidare tutta questa tematica appena illustrata con la scena che si vede nel trailer in cui la madre di Aisha risponde al messo di Maometto chiedendo se il suo capo è un child molester, denota una propensione alla satira offensiva. Che per un film finanziato da due copti in esilio negli States va inquadrata anche nell’ottica di un vero e  proprio manifesto di autodifesa, o di legittima difesa malamente intesa, di un gruppo religioso perseguitato dalla maggioranza islamica egiziana. C’è anche la scena, su accennata, in cui un gruppo di barbuti sgangherati va a saccheggiare e incendiare le botteghe dei cristiani copti, sempre indicati allo spettatore con vistose croci al collo, e nel farlo uccide una povera e bellissima malcapitata che muore con un sorriso, la croce copta in evidenza sul collo e il sangue che le cola dal lato della bocca. Dovrebbe essere una scena drammatica. Subito ridicolizzata da quello che dice dopo un capo della polizia con faccia americana che ferma i propri uomini mentre stanno per intervenire: “freeze”, cioè “freddatevi”, sbollite la vostra voglia di accorrere in soccorso. E poi aggiunge: «We’re not going to take any action before everything is over», che un sottotitolista potrebbe anche tradurre con un «non interverremmo finchè tutto è finito». Che è esattamente la maniera di comportarsi tenuta in decine di occasioni dalla polizia dell’ex raiss Mubarak quando venivano incendiate le chiese e i negozi dei copti e alcuni di loro venivano trucidati in mezzo alla pubblica via.

Altre scene fanno vedere Mohammad, che in realtà sembra Gesù per l’aspetto fisico, come una specie di guerriero senza scrupoli che cita l’episodio biblico dell’assedio di Gerico e la torah per giustificare le razzie di uomini, donne e bambini, ma che non riesce a rispondere a un possibile fedele che gli chiede se nella Bibbia c’era anche scritto di convertire a forza le persone o altrimenti costringerle a pagare un tributo che viene chiamato “extortion”. La scena finale è un’altra citazione dal film prodotto da Gheddafi, e si vede l’attore che interpreta Maometto brandire la sua spada sporca del sangue degli infedeli mentre l’immagine si dissolve nel cerchio di fuoco che è proprio quello che apre le prime scene di Risala. Copiata anche la scena dei cammelli che corrono in diverse direzioni con ciascuno in groppa un messaggero del “messaggio “, cioè la “risala”, di Muhammad ai potenti dell’epoca, tra cui Cosroe di Persia.

Certo l’opera non sembra un capolavoro ma un libello in video para ideologico dei copti per fare conoscere il proprio pensiero rispetto alla vexata quaestio dell’“islam religione di pace”. Ma a parte questo non sembra più blasfemo di un film di Godard o di quello su ricordato dei Monthy Python. C’è però il problema della suscettibilità indotta, o  diffusa e “narrata” agli stessi fedeli islamici da parte dei loro imam (che sono a un tempo gli istigatori all’odio e quelli che lamentano gli episodi di islamofobia in occidente  facendo da sindacalisti religiosi ai fanatici) a fare la differenza.


di Dimitri Buffa